lunedì 14 settembre 2020

ZITTO CHE IL NEMICO TI ASCOLTA ...... AH VAAA ?!? Qualche riflessione sul pdl Zan.


 Una volta mi arrabbiavo, adesso sorrido, magari con un retrogusto di amarezza, quando sento i partigiani e le partigiane di questo o di quello seccarsi per le critiche volte al proprio pupillo “perchè si fa il gioco del nemico....”. Perché tutte le volte che c’è l’approvazione da parte del Parlamento di una nuova legge è la solita solfa, e si immolano alle ferree e ottuse volontà politiche anche le migliori proposte; un pò per questa dissennata procedura parlamentare che rende impossibile, quasi, ogni modifica ai testi presentati, pena tempi biblici per la loro approvazione. Un pò perché a parole si “collabora con l’avversario” ma in realtà c’è una guerra guerreggiata con le stesse componenti della maggioranza ove ogni scusa è buona per portare a casa un risultato e poterlo rivendicare come proprio.
La stessa cosa sta accadendo con il progetto di legge Zan e i tanti e le tante che urlano al tradimento quando magari qualche emendamento sensato (non parlo delle migliaia di quelli stupidi) rischia di modificare il testo. Intendiamoci: gli estensori hanno realizzato decine di consultazioni, informali e formali, sulla proposta, e hanno potuto sentire tutte le voci in capitolo. Di questo dobbiamo riconoscere loro il merito. La stessa cosa successe sul progetto di legge per le Unioni Civili ed in generale per tutti i provvedimenti che toccano, direttamente o indirettamente, i diritti. Ma non è questo il punto centrale, bensì le risposte a questa semplice domanda: la legge che uscirà dal Parlamento sarà efficace?
Son decenni che i nostri deputati e senatori fanno finta di porsela sta domanda, con l’incredibile risultato che la maggior parte delle norme son costruite o senza gli strumenti per verificarle o son state del tutto disapplicate e/o superate dai tempi. Lo dovrebbe fare il Parlamento, direte voi, ma la cultura espressa dalla maggioranza dei suoi rappresentanti (non dico tutti e non dico sempre) è totalmente impermeabile ad ogni prova di efficacia, buona solo ad incolpare questo o quello quando si è in emergenza.
E quindi, complice lo slittamento della discussione e votazione in Aula (alla Camera, perché al Senato.....) possiamo permetterci di porla questa domanda sperando che qualcuno ascolti non solo i motivi di soddisfazione, ma anche le perplessità che la norma così scritta produce. E si ponga il problema della sua applicazione.
Chi scrive questa nota è un attivista da più di 40 anni, ma non vanto titoli accademici e nemmeno una specifica cultura giuridica. Son stato nella pubblica amministrazione da sempre e certi meccanismi li conosco bene. Conoscenza di meccanismi che solo la vulgata populista e facilona bolla come “predominio della burocrazia” e che invece è figlia di ben noti meccanismi, giuridici e amministrativi, che rendono le leggi inapplicate, e spesso inapplicabili. Guardate con attenzione alla storia italiana della cosiddetta Legge Mancino (il senatore che diede un contributo essenziale al testo è stato Enrico Modigliani, repubblicano) e domandatevi perché in tutti questi anni è stata poco o punto applicata (forse un pò di più negli ultimi 5 ....). E smettetela di usare i dati dell’OSCAD e dell’UNAR come una clava e domandatevi come funzionano, con quali strumenti e competenze questi organi dello Stato possono intervenire sui crimini d’odio (dove, quando, come, con chi ...). In più è notorio (perché l’ho scritto e detto molte volte, e con me la mia attuale Associazione di appartenenza, ovvero l’Associazione radicale Certi Diritti) che ho sempre avuto fortissime perplessità e anche contrarietà ad usare la leva penale nel combattere fenomeni sociali gravi, profondi, che si cibano di falsa tradizione e maschilismo della peggior specie come quelli dell’omofobia, transfobia, e via elencando. In altre parole: quando si parla di populismo dominante non si intende forse un modo di concepire le leggi più come dichiarazioni di principio che come strumenti applicabili che aiutano la società e gli individui?
Vorrei sbarazzarmi dell’argomento principe, sbandierato da un ampio numero di personaggi: dalla CEI a Luigi Manconi e Stefano Ceccanti, ovviamente non con gli stessi toni: questa Legge potrebbe violare il principio di libera espressione perché non si potrà più esprimere nessun giudizio o progetto politico che riguardi le persone omosessuali (e via elencando). Ora, lasciate perdere le reazioni che tutti abbiamo avuto di fronte a queste posizione, soprattutto a quelle più “moderate”, e passate a questo esempio. Da qualche anno vige una Legge nel nostro Paese che stabilisce il divieto di GPA (art. 12 Legge 104/2004 “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione dei gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a sei anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro.”). E’ altrettanto notorio che esistono leader politici e associazioni che non solo sono contrari a questa norma ma ne chiedono pubblicamente il cambiamento, anche presentando proposte di legge e, per esempio “pubblicizzano la surrogazione di maternità” in modo palese. Ma loro (cioè anche io) non si sono mai nemmeno sognati di accusare chi è contro la GPA di essere malati e criminali, o di non essere in grado di fare questo o quello ..... Qualcuno ha mai provato a denunciarli (denunciarci ...) questi leader e associazioni che predicano esplicitamente il superamento della norma? NO, e per una serie infinita di motivi tra cui il fatto che quella cosa proprio non la fanno, ma la auspicano soltanto ed agiscono politicamente per il superamento della stessa.
Il discorso è diverso se si trattasse di disobbedienza civile, come fu ai tempi dell’obiezione di coscienza per esempio, o dell’aborto. Ma non entrerei su questo terreno perché la discussione dovrebbe essere diversa.
E per quali motivi dovrebbero essere perseguiti coloro che sono contrari al matrimonio egualitario o alle unioni civili? Non sarebbe la stessa situazione vista al contrario? Non sono diffuse nel nostro Paese decine di associazioni che sono contrarie, per esempio, all’attuale Legge di regolamentazione dell’aborto, fino a chiederne la sua cancellazione o profonda riforma? Cosa c’entra quindi la libertà di pensiero con questa proposta di legge che in modo esplicito afferma che “ sono consentite la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte”. Di quale libertà di pensiero parlano se non quella di insultare e di offendere, che DA SEMPRE è punita dal codice penale con il reato di diffamazione, mentre e altre no? Forse non ci si rende conto della assurdità dell’argomento, e mi rivolgo ai Ceccanti ed ai Manconi che hanno le capacità di comprendere ed anche quelle di resistere alle pressioni, molto forti, della gerarchia cattolica.
E poi: non mi capacito come sia possibile affidare ai giudici la valutazione di quali siano queste “ condotte legittime” e mi viene un brivido al solo pensiero di quanta giurisprudenza “fantasiosa” sarà prodotta su questo aspetto.
Diciamoci la verità: questo progetto di legge ha un grande, valido motivo per essere approvato, ed è rappresentato dai pareri dell’opposizione (tutta) e dai retropensieri di una parte della maggioranza che dicono scempiaggini. Tutti costoro agitano ogni strumentalizzazione possibile e immaginabile del principio di libertà di espressione: sulla strumentalità degli argomenti espressi dall’opposizione non ho parole, e nemmeno sull’atteggiamento di certi giornalisti nostrani che invece di andare a fondo delle notizie semplicemente le ripetono, rendendole così, secondo la nota Legge di Goering, vere perchè ripetute infinite volte. Mentre quelle espresse dalla maggioranza assecondando le infondate preoccupazioni che quà e là sono apparse, invece di rinviarle al mittente come inaccettabili, dicendo chiaramente che questo testo (questo testo, ripeto) non ha nulla a che vedere con questo principio. O il gioco di staccare il deputato Costa dal suo Gruppo parlamentare (altri oltre lui?) vale la candela di un emendamento confuso e confondente? Il cambiamento introdotto appunto con l’articolo 3 è semplicemente una excusatio non petita accusatio manifesta: perché è stato inserito così, con quella formulazione ambigua se collocata nell’articolo del codice penale, come dovrebbe essere? Senza specificare se si estende o meno a tutti i reati previsti dagli articoli 604 bis e ter? Che impatto avrà sugli stessi? E se non ne avrà come si giustifica questa eccezione per l’istigazione a delinquere e per discriminazione per orientamento sessuale e identità di genere e non per violenza e discriminazione per nazionalità, etnia, razza e religione?
Ripeto: se non ci fossero le follie (in senso giuridico) della CEI, della LEGA, di FdI e di qualche altro esponente della opposizione, il valore della dichiarazione pubblica e formale contenuto nel testo di questa Legge sarebbe molto meno necessario. Loro, con i loro argomenti un tanto al chilo, sono la prova provata che questa Legge è necessaria. Ma basta? Non è vero forse che la norma viene applicata dai giudici solo nel caso si provi che dietro l’espressione di un insulto o di una bugia non vi sia stata volontà di violenza e discriminazione?. E voglio vedere quanti e quali giudici lo riconosceranno il reato o l’aggravante così concepita. Perché, lo ricordo a tutti noi, un conto è dire “affoghino tutti gli immigrati” ed un altro “gli immigrati non li vogliamo a casa nostra”. Sono entrambe affermazioni molto razziste, ma sulla seconda i giudici hanno avuto notevoli dubbi nel passato. Che passo avanti si è fatto quindi rispetto al codice penale esistente oltre al riconoscere un ulteriore reato (da provare) ed una aggravante obbligatoria per Legge? Dove sta l’effetto di prevenzione di questa norma? E magari allungare le pene previste e cambiare la composizione del giudicante?
Non erano fondati quegli emendamenti (presentati se non ricordo male da Ceccanti e da Gariglio ) che cercavano di definire di cosa si parla quando si dice la parola discriminazione? Non esiste in Italia una Legge sulle Discriminazioni, cosa che chiediamo da sempre, ma solo i grandi principi contenuti nella nostra carta e nelle norme europee (lunga vita a loro ....) e in alcune Direttive europee applicate in Italia con Decreti Legislativi che a volte son stati proprio bislacchi, se non contrari alla lettera in essi scritta. E, come si sa, l’unica Direttiva comunitaria contro le discriminazioni basate su orientamento sessuale è quella del lavoro (la 43 del 2000) mentre per motivi legati alla transessualità si applicano le norme relative al genere, che sono molteplici. Di quali discriminazioni, di grazia, si parla? Lo capite vero che condannate i giudici a ripetute sentenze che di volta in voltano individuano cosa sia discriminazione e cosa no, con tutti gli annessi del caso?
Felice di essere smentito, intendiamoci, ma con numeri e ragionamenti alla mano, non con aspettative e desideri.
In una cosa questo progetto è molto positivo, e sono tutti gli articoli cosiddetti sulle “politiche attive” che stabilisce: l’aumento del Fondo per le Pari Opportunità, la realizzazione di una Strategia nazionale, l’istituzione della Giornata nazionale, le iniziative di accoglienza e di assistenza per le vittime. Tutte cose che servono tantissimo a chi lavora su questi temi. Certo anche su questo ci sarebbero volute norme più incisive, rivolte a quel famoso principio di efficacia che una legge deve perseguire. O forse devo citare la miseranda fine di un articolo della Buona Scuola che già oggi rende legittime iniziative contro la violenza di genere e le discriminazioni? (comma 16, Legge 107/2015). Il finanziamento previsto ( 4 milioni l’anno per l’intero Paese) è davvero poco per chi è esperto sulle politiche pubbliche e l’elenco delle cose che si dovrebbero fare con questo Fondo. E perché ricondurre anche il Fondo così istituito al Dipartimento, e non all’UNAR direttamente? Magari affidandogli specificatamente un ruolo di coordinamento e proposta nei confronti di altri Ministeri e Dipartimenti? Una ulteriore migliore definizione delle nuove competenze date all’UNAR (ricordate? la sua istituzione e le sue attività risalgono ad una Legge comunitaria dove si parlava solo di razzismo, mentre le altre competenze si sono via via aggiunte, o dismesse, sulla base di Direttive ministeriali) e via sofisticheggiando. Ma appunto questi argomenti li possiamo considerare sofisticherie....
Abbiamo già detto sulla totale assenza di regole per la verifica della corretta attuazione della Legge, o le varie previsioni poco chiare: per esempio che rapporto c’è tra Strategia e Programma visto che le risorse, penso, dovranno essere quelle? Oppure: sembra di capire che ISTAT debba produrre uno studio ogni tre anni, complesso e articolato, ma non si indica se ci siano risorse aggiuntive a quei 4 milioni o userà solo risorse proprie (quali? come?), e a chi risponde ISTAT per le sue ricerche tranne che per quel cenno al “sentito l’OSCAD”. E l’UNAR?
Rimangono infine tutti i miei dubbi, ed anche sorpresa direi, sul dibattito a tratti lunare, che si è svolto sulla parola genere: inizialmente la scelta di indicare nella proposta esplicitamente il genere e l’orientamento sessuale aveva una sua logica (inclusiva e non esclusiva come pensano molti). Capisco l’inserimento dell’identità di genere (in troppi fanno finta che le persone trans non esistano, o esistano come vogliono loro) anche se nel genere c’è anche il passaggio dall’uno all’altro o semplicemente non sentirsi entro quelli definiti. Pensateci: se non ci fosse, per quale motivo più di una sentenza della Corte UE ha detto esplicitamente che alle persone transessuali che si sentono discriminate si applicano le norme sul genere? E per quale motivo esiste in Italia l’immotivata e non condivisa interpretazione della Legge sulle Consigliere di parità per cui alcune non la applicano nei confronti delle persone transessuali?. Ma quando si è deciso di inserire anche “sesso” siamo entrati nel paradosso assoluto, confondendo nella legge termini e significati di origine sociologica, medica, politica, giuridica ......... Forse è difficile capirlo ma tutte le definizioni citate prima contribuiscono a salvaguardare l’ identità sessuale della persona, l’unico vero bene che deve essere salvaguardato, che da conto di tutte le possibili varianti esistenti ed è già stato preso in considerazione, come bene da salvaguardare, dalla stessa corte costituzionale. Ve li immaginate i giudici che di volta in volta devono stabilire se c’è violazione della libertà di sesso, o di genere, o di identità di genere o di orientamento sessuale? E quanti avvocati e avvocate tenteranno (legittimamente aggiungo io) di applicare questo reato anche alla violenza contro le donne (quello che impropriamente viene indicato come femminicidio)?
Mi rivolgo infine agli avvocati ed alle avvocate che queste discriminazioni e violenze le seguono da tempo: siate onesti con voi stessi e diteci in quale modo questa Legge vi aiuta nel perseguire questo tipo di reati, visto che gli stessi sono già tutti compresi in una attenta applicazione del codice penale? Perché istituisce un reato nuovo? E non è soggetto, come tutti i reati, alla verifica della sua sussistenza da parte di un giudice la cui sensibilità può essere più che varia? L’aggiunta di un’aggravante obbligatoria? Il cambio della procedura che si applicherebbe ai vari casi?
Francamente: io vedo pochi passi avanti con questa norma penale che non ha validità preventiva, e soprattutto contiene sacrosante dichiarazioni di principio (da non sottovalutare intendiamoci) e le norme di carattere organizzativo a favore delle cosiddette politiche attive, migliorabili, ma certo un primo passo. Ma vi prego spiegate ai più di fare una infinita attenzione a collegare l’approvazione di questo pdl con la fine (o la diminuzione) degli orrendi casi di cronaca che abbiamo sotto gli occhi. Semplicemente perché non è vero, soprattutto nell’immediato.
E’ l’efficacia la prova del 9 di ogni possibile legge, non la sua bontà.
Enzo Cucco
14 settembre 2020
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domenica 12 aprile 2020



Dieci anni fa, in questi giorni, festeggiavamo una decisione della Corte costituzionale che ha dello storico: si tratta della sentenza numero 138, assunta il 14 aprile e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 21 dello stesso mese. Con quella sentenza si otteneva il più grande riconoscimento giuridico dei diritti e dei doveri delle persone omosessuali mai raggiunto in Italia prima della Legge sulle Unioni civili. Si, perchè di questo stiamo parlando: complice il fatto che a parte le norme relative al servizio militare (cancellate grazie alla decisione di de-patologizzare il comportamento omosessuale da parte dell’OMS) e lasciando da parte tutte le vicende relative alla Legge 40/2014 (a parte ma non meno significative) in Italia non esisteva alcuna norma che rendeva legale la discriminazione nei confronti delle persone omosessuali, lasciando quindi la distanza tra diritti formali e diritti sostanziali amplissima e tutta da colmare. Quella sentenza fu il primo prodotto di una campagna che abbiamo definito di Affermazione civile, per la quale ci fu l’incontro di una fortunata intuizione di Francesco Bilotta (che era anche frutto di studi seri ed approfonditi) con una associazione nata da poco, l’Associazione radicale Certi Diritti, e soprattutto le coppie che offrirono, con grande lungimiranza e generosità, la propria visibilità ed anche i propri soldi, per avviare questa nuova strategia.
Non dobbiamo dimenticare che Francesco (che non a caso giusto nel 2007 insieme ad altri ed altre fece nascere Rete Lenford), le coppie e l’Associazione radicale certi diritti (nata nello stesso 2007) ma anche centinaia di migliaia di persone in Italia, erano reduci della grandissima frustrazione generata da un Parlamento, e da un Governo (il Prodi 2, durato dal maggio 2006 al gennaio 2008) incapaci di legiferare su questo argomento. Il gioco del compromesso al ribasso produsse veri e propri aborti legislativi (vi ricordate vero quelle autentiche schifezze che erano prima i Dico e poi i Didorè, ed altre fantasione quanto insultanti proposte ...) che meno male il Parlamento non esaminò mai. La strategia fino ad allora perseguita da alcuni Gruppi lgbt, sostanzialmente basata sulle possibilità offerte da un parlamento a maggioranza di centro sinistra, si rivelò infondata. Intendiamoci, con l’occhio di adesso dobbiamo riconoscere, e dire ad alta voce, che fu un errore parziale, che si basava su una realtà, l’arretratezza di sinistra su questi temi, francamente non così preventivabile da Arcigay. Anche se c’erano stati molti segnali in tal senso. Ma fu errata la strategia (basarsi unicamente sulla volontà della maggioranza di sinistra del Parlamento) non l’obiettivo che è sempre stato lo stesso per tutti e tutte: il riconoscimento del matrimonio civile tra persone dello stesso sesso.
La strategia di Affermazione Civile, inoltre, si basava (anzi si basa) su una storia piena di precedenti ove l’acquisizione di nuovi diritti in Italia si è avuta grazie al pronunciamento delle Corti, sia in anticipo alle decisioni del Parlamento sia registrando un cambiamento sociale profondo e già avvenuto. Io ricordo solo le classiche battaglie per l’obiezione di coscienza, per la legalizzazione di divorzio e aborto, l’abolizione dei manicomi, per il riconoscimento della violenza sulle donne, tutte precedute da sentenze importanti della Corte Costituzionale che, a volte ribaltando sue stesse decisioni, hanno innescato quei meccanismi istituzionali che hanno prodotto le leggi che conosciamo (con i pregi e i difetti delle stesse).
Da questa storia nacque il fidanzamento tra Certi Diritti, Bilotta (poi Rete Lenford) e le coppie fino alla sentenza citata, trasformatosi poi in una separazione (questa è un’altra storia ..... ) e nella moltiplicazione delle associazioni, degli avvocati e delle coppie che questa strategia hanno perseguito: la nostra Associazione era, nel panorama politico omosessuale, l’unica che, vivendo anche della tradizione radicale, aveva nel suo DNA il ricorso alle Corti per il riconoscimento di diritti negati. Fino ad allora avevamo conosciuto queste cause come “disobbedienza civile”, ed in questa definizione c’era anche la visione di un Ordinamento giuridico che non riconosceva ancora diritti (e doveri) che erano già maturi da tempo nella società. Affermazione civile, invece, è stata una campagna che è partita da un assunto diverso, che semplifico così: i diritti delle persone omosessuali e transessuali non sono solo una novità giuridica ma, sulla base della normativa vigente (quella italiana e quella europea) già reali. Si trattava di renderli sostanziali.
Tutto questo seguendo un filo logico mai riconosciuto dalla maggioranza di quello che chiamiamo oggi Movimento lgbti, iniziato dal Congresso del Fuori! del 1978 dove per la prima volta si parlò di Diritti Civili e si inauguro una stagione che parlando di obiettivi concreti si poneva proprio questo obiettivo: il passaggio da un diritto di principio a un diritto sostanziale per le persone omosessuali e transessuali.
Tranquilli, non sto rivendicando alcuna paternità o maternità per quello che è successo dopo, sarebbe sciocco anche solo il pensarlo. Ma è innegabile che c’era qualcuno che a questi diritti ci pensava e provava a fare iniziative. Vedasi il Congresso, sempre del Fuori!, nel 1980 dove si approfondì il tema delle unioni civili e del matrimonio. O al caso di Doriano Galli del 1981, ricordato da pochi.
L’intuizione che sta alla base di questa strategia è proprio questa: applicare questo metodo anche alla questione dei diritti delle persone omosessuali e transessuali, perché di diritti (e di doveri) stiamo parlando. Con un particolare importante rappresentato dalle novità prodotte dal diritto comunitario.
La strategia aveva tutte le condizioni per essere condotta: chi faceva questa scelta in prima persona (le coppie), chi ci ha messo la propria competenza giuridica (innanzitutto Francesco e poi tanti e tante altre avvocate italiane) chi ci ha messo la propria riflessione politica ed un rinnovato attivismo (ho già ricordato l’Associazione radicale Certi Diritti ma anche Famiglie Arcobaleno in questi anni ha sostenuto e promosso numerose cause pilota e famiglie). Vorrei ricordare il grande lavoro fatto da Sergio Rovasio, primo segretario dell’Associazione radicale Certi Diritti, Clara Comelli (che fu Presidente) e Gian Mario Felicetti (referente per qualche tempo di quella Campagna). Ma voglio ricordare tutte le altre coppie, avvocati e avvocate che ci misero la faccia, impegno e soldi che hanno prodotto quanto in 10 anni siamo riusciti a produrre.
Mancava l’ultimo elemento, quello delle decisioni che le Corti avrebbero assunto. Da subito chiunque ha messo in atto questa strategia sapeva che questo era l’elemento principale che avrebbe dovuto accellerare o rallentare il riconoscimento di questi diritti e doveri, al netto delle diverse posizioni di strategia che ci sono state. Lo sapevamo e lo sappiamo, consapevoli del fatto che la stessa sentenza 138 (soprattutto alcune capziose interpretazioni che sono circolate) erano parzialmente utili per raggiungere questo obiettivo. Parlo innanzitutto della linea seguita dalle Corti di non affrontare la questione dal punto di vista dell’uguaglianza, e della palese discriminazione che certi comportamenti producevano, ma da quello del diritto familiare (diritti e doveri inclusi) lasciato alla discrezione dei Parlamenti (come se il diritto al matrimonio non fosse un diritto fondamentale, e quindi inalienabile). E producendo indirettamente una legislazione strabica, e profondamente ingiusta, dove dalle Unioni (oggettivamente una grande quantità di diritti e doveri riconosciuti) si eliminavano diritti e doveri relativi a figli e figlie.
Su questo possiamo farci poco, se non quanto si può lavorare a livello culturale (la sentenza 138 ne è stato un formidabile esempio) perchè cambi l’approccio della magistratura alla questione.
Ma quanto abbiamo prodotto?
Non ho alcun dubbio nel rivendicare (direttamente o indirettamente) a quella campagna il merito delle uniche conquiste che il Movimento ha fatto in questi anni: innanzitutto la Legge sulle Unioni Civili che, al netto di tutte le polemiche che ne hanno segnato la nascita, non sarebbe mai stata possibile in Italia senza quella sentenza ed anche l’altra, quella della Corte Europea dei Diritti Umani nel 2011 che condannò l’Italia al pagamento di una penale alle coppie ricorrenti. Ma vorrei anche ricordare le altre sentenze (prima della Corte di Cassazione e poi della Corte costituzionale) che interpretando la Legge 164 del 1982, sancirono che il ricorso agli interventi chirurgici era non necessario per l’ottenimento del cambio di sesso e di nome sui documenti. Persino i piccolissimi passi avanti sui diritti dei figli e delle figlie che nascono e vivono in una famiglia composta da persone dello stesso sesso, sono figli di sentenze lungimiranti. Anche se dobbiamo registrare quanto infausta fu la Legge sulle Unioni Civili da questo punto di vista: infausta perché non ha normato questa situazione lasciando nel limbo decine di migliaia di ragazzi e ragazze (alcuni oggi diventati uomini e donne). E non sono affatto da sottovalutare la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia che riconobbe il diritto al permesso di soggiorno del partner extracomunitario, a quella della Cassazione dove si riconobbe il diritto a una vita familiare per le coppie dello stesso sesso. Vorrei anche ricordare il grande sforzo politico, e culturale, fatto dalla proposta “Amore Civile” prodotto da Francesco Bilotta, Bruno De Filippis, sostenuto e fatto proprio dall’Associazione radicale Certi Diritti e presentata in Parlamento da Rita Bernardini nel 2010. Ad oggi quello rimane l’unico tentativo (perfettibile, certo ....) di riforma complessiva del diritto di famiglia italiano, improntato alla difesa dei diritti e dei doveri dei singoli.
Futuro di questa strategia? Poco e delimitato se guardo alla magistratura. Tanto invece se osservo il Parlamento, che è come se si fosse addormentato sugli allori (tutti meritati, è bene chiarirlo) della Legge sulle Unioni Civili, non vedendo io alcuna reale vol0ntà politica per raggiungere quegli obiettivi di uguaglianza che ancora sono da raggiungere. In questo senso, purtroppo, prima della pandemia coronavirus la campagna per una Legge italiana contro omo e transfobia (lasciamo perdere i limiti sia del dibattito che le proposte in campo) aveva il sapore di un ripiego rispetto a questi obiettivi, che si son dati per scontati e irraggiungibili. Non sto affermando che una tale Legge sia inutile, anzi, ma senza entrare nel merito della sostanza della norma possibile e della sua efficacia, questo pericolo esiste.
Ora con la pandemia tutto è cambiato. E tutto cambierà, compresa questa strategia. Forse converrebbe cominciare a rifletterci.

Enzo Cucco Tosco
12 aprile 2020
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