domenica 15 ottobre 2017

SILENCE = DEATH



Non posso non aggiungere la mia voce ai tanti e alle tante che parlano benissimo di “120 battiti” e vi invitano ad andarlo a vedere. In fretta. Dimenticate però due tentazioni: la prima è quella di considerarlo (il film) la storia del movimento contro l’Aids. Non lo è, per ammissione del regista e per il ricordo dei tanti (io tra gli altri) che hanno cominciato ad occuparsi di AIDS (ed a combatterlo) molto prima della nascita di Act Up. La storia infatti è quella del gruppo parigino, nato nel 1989, e sia nel mondo che in Italia si fu attivi contro l’Aids da molto prima, almeno dal 1982. Il film tratta della storia di Act Up Parigi, e di un momento topico della lotta all’Aids, quello della prima sperimentazione degli inibitori, una combinazione dei quali, dal 1996, diede vita alla HAART, la terapia che, con continui aggiornamenti ancora in corso, consente alle persone con Hiv di continuare a vivere. La seconda tentazione è quella di farsi sopraffarre dai ricordi personali, ed a stento riesco a farlo. Vi confesso che ho pianto da metà film in poi, ricordando gli amici cari che hanno lottato contro la sindrome e non ce l’hanno fatta. E quegli anni pieni di angoscia e impegno: il mare di emozione certe volte sembrava proprio invadermi.
Lottando contro queste due tentazioni sono uscito facendo qualche riflessione, che condivido:

1  .             dovete andarlo assolutamente a vedere. Ma non mi riferisco solo alle persone lgbt. Mi riferisco soprattutto a tutti gli altri ed alle altre. Perchè questo film, molto più di tanti, racconta che, attraverso la lotta all’AIDS ed al protagonismo delle persone con Hiv e delle associazioni, sia cambiato per sempre ed in modo radicale l’approccio alla sanità ed alle case farmaceutiche. Chi ha un pò studiato la storia della medicina sa che non esiste alcun movimento di pazienti che ha smesso di essere “paziente” ed ha rivendicato con grande forza il tempo che inesorabilmente passava, come quello delle persone con Hiv. Anche perchè una parte di costoro arrivava dalla politica lgbt (ed aveva pratica politica) e ne denunciava con forza, certe volte in modo che è sembrato poco generoso, i timori e gli imbarazzi. Il tempo che avvicinava alla morte, il tempo che trascorreva nell’attesa che la ricerca scientifica e le case farmaceutiche facessero le loro sperimentazioni. Quel tempo maledetto che passa tra la diagnosi di una patologia ed il suo esito. Immagino che molti di voi abbiano avuto almeno un parente con il cancro o l’epatite virale o una sclerosi: per essi (e non solo) il tempo non è indifferente, ed ogni allungamento della sperimentazione di nuovi farmaci significa giorni e mesi di speranza in meno. Chi si ricorda le prime speranze, e le grandi disillusioni, che l’AZT provocò (parlo della seconda metà degli anni 80)? Possiamo dirlo che in molti morirono in attesa di questo farmaco o per le dosi troppo alte che si assumevano all’inizio della terapia? Chi si ricorda le richieste di eutanasia che arrivavano dai malati terminali? Ecco, dovete andarlo a vedere perchè racconta bene come nacque l’indignazione delle persone con Hiv, ed in generale come nasce l’indignazione di ciascuno di noi di fronte a un futuro nemico che sembra ineluttabile. E ci sarebbero da dire molte cose sulla crisi del rapporto con le cause farmaceutiche e l’antiscientismo che l’AIDS ha rianimato. Ma non è questo lo spazio. Non sto affatto dicendo che l’alternativa sia quella di accettare passivamente la situazione (e quante polemiche ci furono contro le associazioni di assistenza che pure la predicavano ..... ). Sto dicendo che il surplus di rabbia che animò le azioni di Act Up nasce da qui. Fu efficace la loro azione? Siamo in grado di affermare che il loro attivismo (e il nostro ?) accellerarono la strada che ha portato alle nuove terapie (almeno a quelle)? Non so, e credo che ci vogliano altri anni per riflettere su questo punto. Sta di fatto che nessuna delle patologie con questo grado di complessità biologica ha mai potuto usufruire nella storia della medicina di tanti finanziamenti. Reagan fu svegliato da Liz Taylor nel 1987 dopo la morte, tra gli altri, di Rock Hudson nel 1985. Mitterand solo nel 1992 chiese scusa per il sangue infetto usato nelle trasfusioni ed il film racconta bene come Act Up Parigi chiedesse molto di più a quel Presidente e a quel Governo. Non parliamo dell’Italia e della sua classe politica che per molti anni è stata colpevole di un silenzio assordante o a vere e proprie follie (Donat Cattin “ce l’ha chi se lo va a cercare”, 1987 è solo la punta di un iceberg) scaricando su Poggiolini e De Lorenzo tutto quello che ha potuto. Questi risvegli tardivi hanno contribuito, indirettamente, alla corsa alle terapie e gli investimenti ingenti che abbiamo avuto per l’Aids. Almeno in Europa e negli USA. Col senno di oggi due o tre anni di silenzio, anche 10, non sono i due o tre anni di censura, anzi di omofobia vera e propria, che furono. Ecco, io credo che dobbiamo alle migliaia di persone con Hiv che hanno lottato e fatto coming out il fatto che la terapia sia arrivata “così” in fretta.

2.      ma il film riguarda tutti e tutte perchè la personale reazione a una perdita, ad un destino che sembra ineluttabile, all’attaccamento alla vita (ed all’erotismo che ne è la sua manifestazione) nel film è benissimo raccontata. Silence=Death era lo slogan più importante di Act Up. Ed il film ne è la trasposizione più cruda, una delle più dirette che ho visto al cinema, senza la pornografia dei sentimenti che spesso aleggia su queste storie, ma anche con grande pulizia e nessun infingimento. Le scene dedicate alla scelta di fare eutanasia ed al lavaggio del corpo morto del protagonista sono potentissime, oltre che vere. Vere. No al silenzio: valeva allora e vale anche oggi. Sempre. Perchè il silenzio (sociale, le scelte personali son sempre da rispettare) è complice dell’inattività. Uno degli slogan di Act Up era “knowledge = weapon”: la conoscenza è un’arma formidabile per battere il silenzio e, aggiungo io, per possedere quella consapevolezza sui fenomeni di cui abbiamo bisogno. Al cinema è impossibile parlare di Aids senza evitare il groviglio emozionale che provoca (da “Che mi dici di Willy” in poi ...), ma le emozioni sono parte della nostra vita, e con esse facciamo i conti, direttamente o indirettamente. Meglio dirselo che esistono invece che negarle, perchè il silenzio è morte. Morte in vita, prima ancora di quella reale, e più inaccettabile perché evitabile.

3 .            questa riflessione è diretta ai gruppi lgbti italiani (e a coloro che si interessano della sua storia): tante volte abbiamo detto che l’AIDS è stato il buco nero in cui abbiamo perso una generazione di attivisti (anche di attivisti, dico io...) ma non abbiamo a sufficienza riflettuto su cosa hanno voluto dire quegli anni. Quanto ha influito l’avvento dell’emergenza AIDS (perchè tale era all’inizio degli anni ‘80) sulla liquefazione del Fuori! la cui estinzione è cominciata con il 1982? E quali sono state le conseguenze sulla vita dell’Arcigay che nel 1985 cominciava la sua vita nazionale? Domande le cui risposte questo film sollecita. E forse è venuto il momento di darsele, sine ira ac studio.

Enzo Cucco
15 ottobre 2017

PS: lasciate perdere (questo è il mio consiglio) lo sciocco post della casa di distribuzione e la decisione stupida della censura italiana di renderlo vietato ai 14 anni. Non ne vale la pena di sprecare energie per queste due cose, il film è potentissimo di suo. Basta andarlo a vedere, e forse i minori di 14 anni non lo capirebbero. E non lo dico per il sesso esplicito, sia ben chiaro.....


PPSS: non sono un critico cinematografico e non lo voglio diventare. Ogni riflessione sull’estetica del film esula da queste considerazioni. Anche se, e mi ripeto, è potentissimo e da vedere assolutamente.

PPPSSS: questo pezzo è dedicato al Gruppo Solidarietà Aids ed al Forum Aids Italia.

sabato 22 luglio 2017

KARL HEINRICH ULRICHS

Non ha avuto lo spazio che meritava la notizia che l’Arcigay de L’Aquila (con il fondamentale contributo di due privati donatori che sono Luciano Mazzuccato e Mauro Bertoni) è riuscita a ristrutturare la tomba del primo attivista per i diritti delle persone gay nel mondo, Karl Heinrich Ulrichs, morto proprio a L’Aquila il 14 luglio 1895. La notizia è circolata sui social e su qualche sito lgbti, ma se non sbaglio i media hanno riportato un trafiletto, e nulla più. Sono imbarazzato ma non stupito di questo atteggiamento: Ulrichs è un pezzo della storia mondiale dei diritti, i cui fondatori e fondatrici non godono di fortuna sui media generalisti. Preoccupa invece la sostanziale ignoranza (nel significato terminologico del termine) di un tale personaggio che scrisse 150 anni fa, e forse più, parole importanti e moderne per tutti e tutte noi che facciamo parte dei moderni movimenti lgbti. Le sue cosiddette teorie scientifiche sono discutibilissime (fu lui che coniò il terribile termine di urningo), ma l’influenza che le sue opere ebbero non solo sugli scienziati dell’epoca ma sul primo movimento lgbti del mondo, è straordinario. Gli studi che circolano tra gli storici ci dicono molte cose sulla sua vita e le sue opere, e dobbiamo dire grazie a uno storico del primo movimento come Hubert Kennedy che negli anni 80 scrisse lavori sul nostro autore che ci dicono praticamente tutto (tutto quello che ci è dato conoscere) sulla sua vita. Spero che Hubert sia ancora vivo (ma penso di si), e credo che sia cosa buona e giusta riconoscergli questo merito. In Italia l’interessamento per Ulrichs si è manifestato pubblicamente con un appello uscito sul numero 3 della rivista Sodoma nella primavera del 1986. Era un appello per raccogliere fondi per ricostruire la lastra tombale di Ulrichs scoperta negli anni precedenti proprio da me, a seguito della lettura di un libro che molti non ricordano più ma che fu in quegli anni la prima storia del movimento gay disponibile in italiano, “Gay gay, storia e coscienza omosessuale”, uscito da Salamadra nel 1976, ripubblicato da Savelli nel 1979. In questa antologia il primo saggio era di John Lauritsen e David Thorstad che raccontava la storia del primo movimento in Germania, a partire, appunto da Ulrichs. Fu da quell’opera che venni a sapere che il nostro aveva vissuto i suoi ultimi anni di vita ( dal 1880) in Italia ed era morto a l’Aquila, in stretto contatto con Niccolò Persichetti e altri. Comprai il libro nel 1977 ma solo dal ‘79 partirono le ricerche, con epistole che coinvolsero a largo raggio gli studiosi che allora erano più coinvolti sul tema: Jim Steakly mi mise in contatto con Michael Lombardi (che tradusse opere di Ulrichs in inglese e scrisse saggi sulla sua vita) e poi entrai in contatto Wayne Dynes e lo stesso Kennedy. Anche Giovanni Dall’Orto ebbe una parte nella vicenda e feci alcuni viaggi a L’Aquila per sondare presso l’archivio di Stato locale e la biblioteca (ma anche l’Ospedale e l’archivio delle chiese evangeliche) cosa c’era su Ulrichs. Ero partito a far ricerche su alcune anomalie tra le date ed il luogo della sua morte, ma questi dubbi furono dissolti da una altra domanda: possibile che la presenza di Ulrichs in Italia sia ricordata nell’Italia di quegli anni (e dopo) solo perchè fu un latinista (fu direttore di una rivista che si chiamava Alaudae) di un certo rilievo e molto conosciuta all’epoca? Una rivista che ebbe estimatori importanti, e finanziatori, tra cui ricordo la Regina Margherita e Giacinto Pannella (si, proprio lo zio prete di Marco Pannella, che dedicò un piccolo ricordo di Ulrichs apparso su La Rivista Abruzzese nel numero di settembre 1895 a pag. 411). Possibile che a L’Aquila non si sapesse nulla del suo passato, del fatto che fosse andato via dalla Germania anche per il suo primo attivismo gay? Possibile che gli aquilani non sapessero chi fossero gli illustri ospiti che lo visitarono, tra cui John Addington Symonds? Dopo tante letture e ricerche, oltre ad aver scoperto dove fosse la tomba (proprio lì nel camposanto sul fianco della cappella Persichetti, scoperta nel viaggio che feci nel 1985) mi resi conto in fretta che quasi sicuramente gli aquilani che lo protessero ed aiutarono fossero a conoscenza del suo passato, ma che semplicemente censuravano i dati salienti del suo coming out, dei suoi processi, delle sue attività con il mondo del diritto prussiano per la cancellazione del paragrafo 175 (già allora ....), dei veri motivi della sua fuga dalla Germania ...... La mia consapevolezza si basa sul ricordo che gli dedicò proprio il marchese Persichetti (che ricordo non fu solo una personalità locale, ma un pezzo grosso del Ministero dell’Istruzione dell’epoca) e che fu pubblicato da L’Avvenire della Democrazia il 25 luglio 1895 (1) . In esso infatti si racconta, correttamente, gli uffici di Ulrichs presso l’allora regnante di Hannover, fedeltà che pagò con la reclusione presso Minden, e che fu, secondo l’autore, il motivo per cui Ulrichs scelse di venire in Italia. Si citano le opere pubblicate con lo pseudonimo di Numa Numantius e Persichetti racconta “Con questa opera egli tentò, con grande ardimento e costanza, una radicale riforma dell’apprezzamento di alcuni soggetti giuridici. Per essa sopportò sacrifici e dispiaceri, e subì financo un processo in Wuttemberg dal quale, dopo aver virilmente lottato per dimostrare che il suo scopo era tutto scientifico, riuscì assolto. L’opera fu letta con molto interesse , ma non gli risparmiò acerbe critiche e soltanto prima della morte ebbe la consolazione di vedere le sue teorie adottate da altri dotti” (2). Quindi a L’Aquila sapevano e/o facevano finta di non sapere e semplicemente censurarono l’informazione. Tutto comprensibile considerato il periodo, ma non giustificabile nè agli occhi di un giovane militante gay ne a quelli di un qualsiasi storico. Le mie ricerche si fermarono con la pubblicazione dell’Appello su Sodoma (fallito miseramente ) e soprattutto sulla impossibilitù di consultare gli archivi Persichetti posseduti dalla famiglia Pucci della Genga e conservati a Spoleto. Non escludo affatto, quindi, che le ricerche d’archivio possano gettare nuova luce sugli ultimi anni di Ulrichs (e non solo a L’Aquila, ma anche a Napoli dove lui ricevette una laurea honoris causa, Ravenna e Roma dove abitò) e sull’impatto che ebbe la sua vita sugli italiani che, prima o poi, vennero in contatto con lui. Con gli occhi di oggi ed alla luce delle ricerche che poi furono pubblicate, penso che si possano fare altre ricerche, in loco o presso gli archivi private delle principali famiglie aquilane. Dal 1988 fu Massimo Consoli a ricordare e diffondere le opere di questo studioso e a organizzare una bella iniziativa, che era quella di andare sulla tomba di Ulrichs il giorno dell’anniversario della sua nascita (28 agosto 1825). Massimo tradusse anche alcune sue opere e scrisse una biografia: un’opera importante di divulgazione e ricordo che si deve ricordare e continuare, soprattutto adesso che c’è un minimo di interesse sull’opera del primo attivista. Infatti il locale Arcigay si intitola proprio a Massimo Consoli, e continua insieme alla Fondazione ad egli intestata, gli appuntamenti di fine agosto. Cosa dobbiamo noi, negli anni 2000, a questo autentico eroe? Ebbene questo è un passo tratto dai suoi ultimi scritti: “Fino al momento della mia morte guarderò con orgoglio indietro a quel giorno, 29 agosto del 1867, quando trovai il coraggio di lottare faccia a faccia contro lo spettro di un'antica idra irata che da tempo immemorabile stava iniettando veleno dentro di me e dentro gli uomini della mia stessa natura. Parecchi sono stati spinti al suicidio perché tutta la loro gioia di vivere era sciupata. Infatti, sono orgoglioso di aver trovato il coraggio di assestare a questa idra il colpo iniziale del pubblico disprezzo”. Son parole che suonano importanti non solo per cercare il senso della sua vita ma il senso di tutti i coming out del mondo, da allora ad oggi. Il futuro non può che basarsi sul passato, e la sua conoscenza deve essere sentita come necessaria non soltanto per ragioni storiche, ma sociali e politiche. Io sento il tempo passare, e questo compito è urgente. Ma spero che lo sentano tutti e tutte: siamo a poco dai primi 50 anni del movimento lgbti dei tempi moderni (1969-2019) e dai primi 50 anni del Fuori! (1971-2021). Due ottime occasioni per ripassare un pò di storia, no? Enzo Cucco 22 luglio 2017 https://gayindependent.blogspot.it/ (1) Esiste una sillogge “In Memoriam Caroli Henrici Ulrichs” di Nicola Persichetti pubblicata presso l’editore Cappelli nel 1896 che ospita una breve autobiografia, la notizia apparsa su Il Popolo romano il 18 luglio 1895 e il suo ricordo dell’Avvenire della democrazia. La pubblicazione contiene anche l’elenco di coloro che contribuirono alla costruzione della prima lapide, il testo che su di essa appare e molti altri messaggi pervenuti. (2) si riferisce ad un pezzo apparso su Alaudae (a pag. 355 del colume che contiene tutti i numeri apparsi) su cui l’autore cita i lavori di Kraft Ebing. PS: Ricordo che sul n. 22 di Fuori! (settembre/ottobre 1979) apparve un mio articolo che testimoniava di alcune ricerche storiche che avevo cominciato, si intitolava “Alla ricerca di un movimento perduto”, pp. 30-32

domenica 2 luglio 2017

PER FILIPPO

OGgi ho partecipato ai funerali di un mio caro amico, Filippo Molinengo. Non so quanti lo ricordano a Torino ed in Italia, ma ha avuto un ruolo significativo, per me e nel Fuori! degli anni che furono. Ho molto riflettuto se fare questa nota per ricordarlo: avevo paura che le emozioni la facessero da padrone sui miei ricordi, ed ho scoperto di non avere sue foto, nemmeno negli archivi del Fuori! (ma nei prossimi giorni controllo meglio). Invece poi ho pensato che sarebbe stato più saggio scrivere a caldo qualche riga, per fissare i ricordi e, perchè no, quelle emozioni che così tumultuose sono rinate. Conobbi Filippo nella primavera del 1976, nei comizi elettorali del Partito Radicale. Cercava di vendere la rivista Fuori! e lo ricordo bellissimo: salopette, orecchini pendenti (ben due), baffi (andavano di gran moda tra i gay allora ...) quell’aria gentile e sbarazzina che tanti del Fuori! avevano, dicendo cose scandalosissime con la grazia ed il sorriso sulle labbra. E’ stata la prima persona omosessuale “open” che ho conosciuto, avevo da poco compiuto 16 anni e il PR era per me quella boccata di ossigeno che mi era mancata per anni. Anzi ho avuto per Filippo (lo posso dire oggi) una vera e propria sbandata, e venni subito preso in giro dai compagni e dalle compagne radicali perchè tutte le volte che andavo a uno dei tavoli di raccolta firme chiedevo di lui, e dalla terza volta che accadde mi accoglievano con un “No, Filippo non c’è .....” prima ancora che riuscissi a far la domanda. Era con me quando fummo fermati ad un tavolo selvaggio davanti all’ex Cinema Doria e portati nella centrale dei Vigili Urbani, insieme a Franco Bigatti e Biagio Campanella. Avevo 17 anni, e mi ricordo bene la telefonata che i Vigili fecero per avvisare i miei genitori.... così come ricordo bene Angelo Pezzana e Adelaide Aglietta che vennero alla centrale per verificare che cosa ci stava capitando. Intanto continuava questa cotta per Filippo, passando da un tavolo ad una trasmissione a Radio Torino Popolare o Radio Radicale. Fino a quando un giorno andando al tavolo di Piazza Castello mi dissero (sfottendomi un pò......) che Filippo mi stava cercando. Il cuore mi palpitava pensando a cosa mi avrebbe detto ed invece lui arrivando si diresse verso di me e col tono scanzonato e gentile che ha sempre avuto mi disse che la sera precedente aveva scoperto delle piattole su di se, e mi consigliava di controllarmi ..... Finì così il sogno romantico che mi ero costruito da solo, e cominciò una amicizia che è durata per anni e anni. Filippo letteralmente scomparì dal Fuori! dalla mattina alla sera, non ricordo bene il giorno, tra la fine del 1978 e l’inizio del 1979. La cosa mi colpì, soprattutto per il modo: senza avvisare nessuno. Ed allora non c’erano facebook o i cellulari. Solo dopo un mese si venne a sapere che lui considerava esaurita la sua esperienza nel Fuori!, era tornato nel privato (si diceva così allora quando ci si innamorava di un uomo e si scompariva nel nulla) e si stava dedicando a se stesso ed alla sua vita futura. Lo rincontrai casualmente nel 1983 perchè il mio compagno di allora (ricordi Sebastiano Ricci ?) aveva affittato casa in Via Baretti, sullo stesso pianerottolo di Filippo. E riprendemmo a frequentarci. Ma poco, e senza più parlare di politica. E da allora è sempre stato così: ogni tanto si riavvicinava al gruppo storico dei militanti (il riavvicinamento è stato più intenso dal 2006 in avanti) e poi spariva, senza avvertire nessuno. E si è avvicinato ad una valanga di gruppi e situazioni diverse, e non solo gay. Ricordo bene che per un periodo anche lungo frequentò gli Amici dell’Archivio di Stato, un corso di ceramica ed una miriade di gruppi diversi che si occupavano di arte, di cultura, di natura. E’ sempre stato radicale, e si è avvicinato e allontanato con questo moto sincopato dall’Associazione radicale Adelaide Aglietta per anni. Nel frattempo negli anni 80 si era laureato in farmacia e fui affianco a lui durante il lungo e tormentato periodo di scelta della farmacia ove lavorare. Poi decise di fare un concorso per le farmacie pubbliche (pur avendo i mezzi per averne una lui) e negli ospedali torinesi rimase fino alla pensione. Ha chiesto molte volte nella sua vita consiglio ed aiuto, e sia io che Angelo Pezzana abbiamo provato a consigliarlo ed aiutarlo molte volte. Senza mai riuscirci (o senza mai capire se ci eravamo riusciti) perchè puntualmente lui si allontanava. E questo dell’allontanarsi di fronte a situazioni critiche o conflittuali è stato una sua costante, così come quella curiosa sete di amicizia che lo ha portato nelle situazioni più improbabili. Riprese più volte la terapia psicoterapeutica che credo cominciò proprio sul finire degli anni ‘70 e per periodi anche lunghi assunse farmaci per questo, ma non posso giurare che fu sempre continuativo nelle terapie. Gli rimaneva nel fondo quella tristezza, un malessere sottile e difficile da individuare ma che parlandogli saltava fuori. Bastava guardarlo negli occhi ed ascoltare le cose che raccontava. Un malessere che cresceva con gli anni. Nel 2013 si avvicinò al nascente lavoro che come Lambda terza età stavamo avviando con le persone over 60 lgbt. Partecipò al primo corso di formazione e volle diventare un volontario, non seguendo mai nessuno dei casi che abbiamo avuto. Non che non ci avesse pensato, ma diceva che non era fatta per lui quell’esperienza. Due anni fa è stato di nuovo male: questa volta la depressione fu forte, e chiedeva insistentemente di non vivere più da solo. Arrivando, volontariamente, a ricoverarsi in ospedale (Clinica psichiatrica di Bra) per poi uscirne ed essere ospite di alcune strutture torinesi per anziani. Era tornato a casa sua e alcuni di noi (Barbara, Rosanna, Alessandro) hanno cominciato a stargli affianco, nelle semplici faccende quotidiane come nelle grandi solitudini che ha vissuto. E sembrava che stesse meglio. Il suo ultimo messaggio con noi risale al 20 giugno, ed era di una persona che stava bene, che diceva di non aver bisogno di nulla. Che stava programmando di trasferirsi un pò in montagna per via del caldo afoso che ingabbiava Torino. Ma la mattina del 24 lo hanno trovato morto in casa, suicidatosi probabilmente il 23 in giornata. Mi aveva parlato molte volte di volerla far finita. E tante volte avevamo riso di questa intenzione. Ha pensato a questa ipotesi quando era stato tanto male qualche anno fa ma a nessuno è venuto in mente che potesse trovarsi di fronte a questa scelta oggi. Non era solo, aveva un sacco di contatti e amicizie, ma voleva star da solo. Ed oggi ricaccio i pensieri che affollano la mia mente sull’aver fatto il necessario per evitare questo epilogo. Preferisco pensare, come Marco ha detto (un altro dei volontari di Lambda Terza Età) che sia stata una scelta consapevole, lontana dalla disperazione a cui associamo i suicidi. Bisogna accettare le scelte altrui, per quanto estreme possano essere, e rifuggire dal sentimentale attaccamento che ci porta a colpevolizzarci inutilmente. Si, preferisco pensare che abbia scelto consapevolmente di togliersi la vita, come spesso nel passato si era allontanato da tutto e tutti. E se fosse qui vorrei dirgli che la sua vita non è stata inutile. Che ha avuto un senso importante: è stato il mio Virgilio, la persona che con i suoi modi gentili mi ha traghettato in quello splendido e incasinatissimo posto che furono il Fuori! e il PR del 1976. Per me, e per tanti altri ed altre, sei stato prezioso. Ciao Filippo, che la terra ti sia davvero lieve. Enzo Cucco 1 luglio 2017 http://gayindependent.blogspot.it/

martedì 14 marzo 2017

TRASFORMARE IL CASO UNAR DA DISASTRO A OPPORTUNITA'

Leggo che Anddos ha finalmente presentato un esposto alla magistratura per una questione connessa al cosiddetto caso UNAR. Si tratta dell'accesso al data base dell'Associazione che avrebbe dato la possibilità di verificare che lo stesso direttore di UNAR abbia la tessera di Anddos stessa. Da cui il possibile conflitto di interesse, ma ancor più il ludibrio morale, su chi approva gare e bandi e chi si aggiudica i finanziamenti. Leggi vigenti. Non quello che ci aspettavamo (il nome di chi ha denunciato i casi di prostituzione nei locali affiliati Anddos, quello sì sarebbe servito) e speriamo che questo sia solo il primo passo "di verità" su una vicenda che declassare a mero comportamento giornalistico è riduttivo, oltre che sbagliato. Ma io spero nel tempo (e nella riunione di sabato prossimo delle associazioni lgbti italiane a Roma), e nella capacità di andare fino in fondo a una vicenda che continua ad avere troppi lati oscuri. Quello che preme è che si riesca a trasformare il caso da disastro (i calcoli sbagliati di qualche apprendista stregone del movimento lgbt italiano) ad opportunità di rinnovamento e crescita. Per farlo dobbiamo essere trasparenti e severi prima di tutto nei nostri confronti, per districare la matassa di argomenti che si sono prodotti sul caso UNAR. E fare un paio di distinzioni. Mi dispiace se alcune argomenti risulteranno criptici a coloro che non sono addentro alle questioni, ma cercherò di essere più chiaro in altra occasione. 1. Che vi sia un uso strumentale del sessismo in questo caso è sotto gli occhi di tutti. Pruriginosità e morbosità abbondano in certi particolari spiattellati strumentalmente ai quattro venti, ed amplificati da servizi giornalistici sul Corriere della Sera che a confronto i servizi scandalistici che appaiono sui rotocalchi impallidiscono. La cosa che mi ha sconvolto è l'onda montante di moralismo espresso da gay e lesbiche su questo tema. Come se fosse una novità che nei locali si vada "anche" per rimorchiare. Problemi su questo? Allora riguardate la storia del movimento gay di questi anni, in particolare di Arcigay, e fatevi qualche domanda. Su cosa significa liberazione sessuale. Su come si sia costruita una rete di affiliazione dei principali locali italiani, e sul perchè si ruppe questo rapporto e sul come. Lo avete dimenticato? 2. Vi scandalizzate perchè nei locali gay si debba entrare con una tessera associativa? Allora scandalizzatevi sul fatto che in migliaia e migliaia di locali italiani (quelli gay sono una minoranza) si entri "solo" con tessera. E che in centinaia di discoteche si entri ritirando obbligoriamente una tessera di consumo. Tutto questo perchè il regime associativo garantisce a questi locali condizioni economiche di favore. Non quelle di 30 anni fa ( e i controlli finalmente si stanno moltiplicando) ma si tratta, sia pure in forma ridotta, di regime di favore. Abbiate quindi il coraggio di alzare la vostra voce su tutto il sistema associativo italiano, e chiedere che anche questi locali siano esercizi commerciali al pari di altri. Tutti e non solo i locali gay. 3. Vi scandalizza sapere che c'è la prostituzione in questi locali? Per la legge italiana vendere prestazioni sessuali e comprarle non è reato. Lo diventa se si configura come istigazione alla prostituzione. Aggravato da eventuali costrizioni (al consumo ed all'offerta). Quindi la magistratura segua il suo corso e verifichi se e dove si siano verificati questi fatti (ovunque). Ma proprio nessuno che abbia voglia di parlare di regolamentazione della prostituzione tra adulti consenzienti? Che potrebbero crearsi in questo modo una serie di locali dove le prestazioni possono essere comprate a cifra controllata ed in ambiente protetto? Che si rompa il velo di ipocrisia e si dica chiaramente che questo accade (in alcuni locali frequentati dai gay e in alcuni locali frequentati dagli etero)? O le battaglie civili scomode le devono fare sempre e solo gli altri? Magari i radicali? Questo vale per tutte le associazioni che fino ad oggi si sono espresse su questo tema, dai più moralisti e duri contro la prostituzione a coloro che camuffano il proprio pensiero e la propria azione. E la figuraccia di AICS che da associazione laica non trova niente di meglio da fare che cacciare Anddos dai suoi associati la dice lunga sulle ombre moraliste che incombono su questo tema. 4. Con tutto questo l'UNAR, la sua attività e la sua gestione di fondi pubblici, non c'entra nulla. Ma nulla di nulla. Ed è cosa ben più seria e complessa delle vendette personali che, strumentalmente, si sono consumate su questo finto scandalo. La questione dell’UNAR va al di là dei destini di chi lo ha diretto, e non lo dico in loro disonore, bensì a garanzia di tutti e tutte che le Istituzioni non seguano i destini individuali ma siano bene collettivo. Tutta la sia personale soliderietà a Spano e non me ne frega niente sapere se lui sia gay o no, o chi frequenti. E' una questione più generale su come in Italia i diritti e le politiche antidiscriminatorie vengono gestite. Risponde agli allarmi ed alle vere e proprie denunce che l'Associazione radcale Certi diritti ha fatto inascoltata in questi anni. Ha a che fare con le richieste di CILD e persino col manifesto delle persone lgbt renziane ove si chiede una riforma dell’UNAR. Ci vuol poco a capire che così non va? L'UNAR non è utile per rispondere alle richieste che vengono avanzate in sede europea e non è utile ad uno sviluppo serio e non di facciata delle politiche antidiscriminatorie in questo paese. La terzietà dell’istituzione, il suo finanziamento, il suo funzionamento, la distinzione tra il monitoraggio, l’accoglienza e l’assistenza alle vittime e lo sviluppo di politiche antidiscriminatorie son tutte questioni che interessano pochi in Italia, di sicuro non questo Governo reo di aver bloccato l’attività dell’UNAR all’indomani del caso Meloni, dopo la frenata sul cosiddetto gender, le polemiche con il MIUR, ecc. ecc.: da allora infatti l’attività istituzionale per cui l’UNAR è nato è bloccata. Ripeto bloccata. Ed è questione di gran lunga più grave dei blocco dei bandi, con tutto il rispetto. Una istituzione, il Governo ed una maggioranza solo preoccupata di non innervosire le opposizioni che dimostrano, una parola dopo l’altra, la loro natura intrinsecamente razzista e discrimiuantoria: questo è il vero freno tirato all’avanzare della difesa dei diritti umani in Italia. Altro che libertà di pensiero. Questo è il vero disastro di UNAR. Questo lo scandalo che speravamo che Spano a poco a poco risolvesse. Così come abbiamo sperato in Monnanni e in De Giorgi. Questa la pochezza di una politica nazionale sui diritti umani, fatta solo di parole vuote. E nessun fatto concreto, se non progetti parzialmente finanziati ed abortiti subito dopo per mancanza di soldi o di coraggio. Ecco: il punto basso è stato toccato dall’UNAR grazie a questo scandalo (e credetemi non mi riferisco affatto alle pruderie sessuofobe che ha in testa qualcuno). Spero si colga l’occasione per ricostruire, su una idea forte, il futuro della difesa dei diritti in Italia. Enzo Cucco Tosco 14 marzo 2017 Presidente Associazione radicale Certi Diritti PS: nel comunicato stampa congiunto che l’Associazione radicale Certi diritti, Arcigay, Famiglie Arcobaleno e Centro risorse lgbti hanno prodotto dopo la riunione del Comitato Diritti Umani dell’ONU è riportata una dicharazione della rappresentante dell’UNAR presente, che avrebbe dichiarato che lo stesso è “organismo indipendente e svolge i propri compiti in autonomia di giudizio e imparzialità”. Ci vuole una faccia .......

venerdì 20 gennaio 2017

LA STRASPARENZA, VI PREGO, SUL TGLFF

E’ un richiamo (facilotto, non lo nego…) al volume di poesie di Auden che qualche anno fa Adelphi pubblicò, ma che ben calza per l’attuale situazione del TGLFF. Abbiate la compiacenza di leggere il post qui sotto e capirete (spero). Come sapete oggi è apparsa su un autorevole e spesso informato sito dedicato alla cultura torinese, l’anticipazione delle dimissioni di Giovanni Minerba dalla direzione del TGLFF. Il Festival del cinema lgbti più longevo ed apprezzato in Italia e in Europa. Giovanni ha confermato la notizia dicendo semplicemente che le dimissioni gli sono state chieste e lui le ha presentate. Dal Comune o dal Museo del Cinema ad oggi nulla, e non dispero domani arrivino delle notizie maggiori, anche se le solite mezze bocche ci dicono che sapremo qualcosa di certo solo nei primi giorni di febbraio quando chi dovrebbe prendere il suo posto avrà firmato il contratto e le questioni connesse saranno risolte (per esempio il nuovo ruolo di Minerba, i soldi che il Comune darà al Museo del Cinema direttamente per il TGLFF, le date della edizione del 2017, ecc. ecc.). Ora: potete anche pensare che tutti i lettori dei media (carta compresa) siano dei creduloni, ma le domande, diceva quello là, sorgono spontanee: È vero che Giovanni Minerba è stato “indotto” alle dimissioni da direttore? Da chi? Perché? Come? Quale sarà il suo nuovo ruolo, se ci sarà? E tutte le voci che corrono circa un accordo bipartisan per farlo fuori son vere? Chi del PD ha voluto la sua testa? Intendiamoci: il futuro di Giovanni mi interessa perché è un amico, e conobbi lui e Ottavio ben prima che questa avventura cominciasse. E so perfettamente che Giovanni, maggiorenne e vaccinato, sa benissimo che dopo quasi 32 anni di direzione il tempo del cambiamento potesse arrivare, ed è giusto che sia così. Ma a quali condizioni è lecito sapere? Più importante del futuro di Giovanni (lui mi perdonerà, e capirà se lo dico) è il futuro del Festival: ripeto, una delle poche iniziative torinesi che cominciata quasi come un gioco, in un tempo ove il cinema aveva una forza ed una rilevanza anche sulla nostra vita di comunità, è diventato anche un appuntamento di cultura, anche di avanguardia, ove tutti e tutte, senza eccezione alcuna, possono godersi o criticare alcuni degli esperimenti cinematografici più interessanti della realtà contemporanea. Di tutto questo che sarà? Pensate davvero che basti cambiare un direttore (giusto o sbagliato che sia) per dare nuove prospettive e nuove dimensioni ad un Festival che ne ha bisogno, proprio perché di successo? E, domanda delle domande, perché dobbiamo attendere i comodi di chi fa la politica torinese per avere risposte? Il solito gossip (questo maledetto) sta già dicendo di avere pazienza, che tra qualche giorno tutto sarà chiaro, che il Festival sarà rilanciato, ecc. ecc. Uno dei perché Appendino ha vinto (perché ha vinto, ricordatevelo opposizione di destra e di sinistra) è che ha detto basta con le camarille (ve lo ricordate il sistema Torino?) con i non detto, con i sotterfugi, al suono di “TRASPARENZA” su tutto e per ciascuno. Ho detto in tempi non sospetti che al di là degli slogan, questa città ha bisogno si di cambiamento, ma anche di proposte, prospettive, visioni: in una parola di un altro sistema Torino e non solo, demagogicamente parlando, di chiuderli i sistemi e buona notte. Ora, vi chiedo una semplice cosa: applicatela la trasparenza che tanto avete richiamato. Strafottetevene delle “opportunità politiche “ e dell’attesa. E diteci cosa sta succedendo. Non lo dico da esponente di un movimento lgbti torinese che ha voluto, sostenuto, promosso un Festival per tutti e tutte. Lo dico da cittadino che paga le tasse e che ha diritto di sapere cosa c’è dietro alle vostre scelte. Sarò lietissimo di essere smentito nel mio serpeggiante umore pessimista. Non sapete come si sta meglio quando le nubi si diradano e si capisce il senso e la direzione di certe scelte. Fosse anche solo per valutarle e prendere posizione, al di là del solito, maledetto gossip. Enzo Cucco 19 gennaio 2017 www.gayindipendet.blogspot.it