lunedì 10 dicembre 2012

UNA OCCASIONE DA NON PERDERE

Il 12 dicembre prossimo si svolgerà a Roma la prima riunione del Gruppo nazionale di lavoro LGBT, convocato dall’UNAR per la definizione della Strategia nazionale di prevenzione e contrasto delle discriminazioni nei confronti delle persone LGBT. La Strategia dovrà tentare di applicare la Raccomandazione del Consiglio d’Europa CM/Rec(2010)5 adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio proprio su questo tema. Si tratta di una occasione importante, da non perdere né sprecare, per almeno tre motivi: 1. è la prima volta che le istituzioni italiane tentano di affrontare le questioni lgbt in modo sistemico, e non sporadico e frammentario come nel passato (senza parlare dei decenni in cui non se ne sono occupati del tutto); 2. è la prima volta che le istituzioni italiane attivano un rapporto con le associazioni lgbt attraverso un metodo trasparente, aperto a diversi contributi, centrato su un obiettivo e sotto gli occhi di istituzioni europee di fronte alle quali anche il metodo, e non solo i risultati, saranno valutati; 3. è l’occasione giusta per le associazioni lgbt italiane per costruire, se lo vorranno, una strategia comune (ripeto strategia, non obiettivi comuni o comuni programmi di attività) al fine di ottenere il massimo dall’opportunità offerta che, anche un bambino lo capirebbe, se vedrà le associazioni rapportarsi in ordine sparso con le istituzioni, otterrà davvero poco (c’è da giurarlo…) dal lavoro che ci accingiamo a realizzare. Per comprendere appieno le opportunità di cambiamento che questa occasione offre credo che sia utile prendere in esame il significato della Raccomandazione del COE ed i limiti della stessa. Non c’è ombra di dubbio che la Raccomandazione rappresenti la migliore definizione del quadro complessivo dei diritti delle persone lgbt in Europa oggi. La sua importanza non sta nella precisione con cui i temi sono trattati, ma nell’approccio adottato per la sua elaborazione. Finalmente la misura della diseguaglianza e della mancanza di dignità in cui le persone gay lesbiche transessuali e intersessuali vivono in alcuni paesi è commisurata ai diritti fondamentali di cui, come individui uguali di fronte alla legge, dobbiamo poter godere. In altre parole il Consiglio ha dato sostanza allo slogan “i diritti lgbt sono diritti umani” che sintetizza anni di elaborazione del mondo giuridico e associativo internazionale. Tema ancora molto lontano dal dibattito pubblico italiano, dove non si riesce a smuovere la grande stampa e la classe dirigente dall’atteggiamento di paternalistica accondiscendenza nei confronti di diritti reclamati da una minoranza ormai visibile, non come “gentile concessione” di un paese moderno ma del riconoscimento concreto di diritti, appunto. La Raccomandazione, pur non essendo vincolante come una Convenzione, è stata adottata all’unanimità dei membri del Comitato dei Ministri, ed ha generato un progetto per la sua implementazione, finanziato da Finlandia, Germania, Olanda, Norvegia, Svezia, Svizzera e UK, che vede come partner Albania, Italia, Montenegro, Polonia, Serbia e Lettonia. Basterebbe questo elemento per dirci quanto la situazione italiana sia presa in grande considerazione nelle istituzioni europee. Questa situazione di “osservata speciale” dell’Italia è ben nota a chi si occupa di diritti umani non solo in ambito lgbt, ed ha fatto si che ILGA Europe scegliesse anche il nostro tra i paesi nei quali sviluppare un primo monitoraggio della Raccomandazione stessa (questa volta insieme a Bosnia, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Georgia, Ungheria, Lituania, Macedonia, Montenegro, Polonia, Portogallo, Romania, Russia, Serbia, Ucraina). Primo monitoraggio che è stato realizzato dal Centro risorse lgbt con la collaborazione di Agedo, Arcigay, Arcilesbica, Famiglie Arcobaleno, Associazione radicale certi diritti e Coordinamento Silvia Rivera, e che può rappresentare una base importante per definire strategie ed attività concrete. Si tenga inoltre conto che nel 2013 il Consiglio d’Europa attiverà un proprio monitoraggio con l’obiettivo di verificare se c’è bisogno di una nuova Raccomandazione sullo stesso tema. Un’altra caratteristica della Raccomandazione è che basandosi sulla Convenzione europea dei diritti umani e sulla giurisprudenza prodotta in questi anni, esclude dai temi trattati alcune questioni importanti, come per esempio quella del matrimonio egualitario, ma ne include talmente tante altre, ed elenca le misure da adottare in modo così preciso che un Piano per l’attuazione della Raccomandazione in Italia necessiterebbe di risorse economiche, basi giuridiche, impegno istituzionale e volontà politiche che davvero fatichiamo a vedere tutte insieme all’orizzonte nella quantità necessaria.. Quali risorse, e quale volontà politica il Governo può mettere in campo in questo momento per definire una Startegia nazionale credibile? Questa è la domanda principale su cui si gioca il senso della riunione del 12 dicembre ( in realtà dobbiamo contare anche la riunione dello scorso 16 febbraio sempre ad opera di UNAR, preparatoria della successiva) ma anche dell’attività stessa dell’UNAR a cui va riconosciuto il grande merito di credere possibile un tale impegno esponendosi su terreni nei quali non possiede alcuna possibilità di intervento reale se non quella che deriva da una capacità di coinvolgimento e indirizzo difficilissima da trovare e da mettere in pratica tra differenti corpi dello stato. Su questo percorso giace come un macigno la necessità, chiaramente indicata dalla Raccomandazione del Consiglio d’Europa, di interventi normativi che non sono ne pochi ne semplici: di quali strumenti si doterà la Strategia nazionale almeno per tentare di influenzare il prossimo Parlamento su questi temi? Ed infine: sapranno le associazioni sfruttare al meglio l’occasione? Le incognite su quest’ultimo punto sono tante, comprese quelle derivanti dalla tentazione di accreditarsi come destinatari di risorse finanziarie, e non come soggetti responsabili di una strategia e coinvolti in un processo che, speriamo, dovrà essere chiaramente definito dall’inizio. Una bella sfida, quindi, quella che abbiamo di fronte. Per le associazioni e per le istituzioni. E per tutti coloro che credono possibile il cambiamento nel nostro paese, anche per i diritti lgbt. Enzo Cucco Presidente Associazione radicale certi diritti 10 dicembre 2012

domenica 25 novembre 2012

VERSO UNA ROAD MAP ITALIANA PER I DIRITTI DELLE PERSONE E DELLE FAMIGLIE LGBT

Il Parlamento europeo ha licenziato lo scorso 25 ottobre uno studio molto interessante intitolato: “Towards an EU Roadmap for Equality on Grounds of Sexual Orientation and Gender Identity”. Lo studio nasce per iniziativa del Gruppo Liberale al Parlamento europeo - anche grazie ad Ottavio Marzocchi, componente del Direttivo dell’Associazione radicale Certi Diritti – e vi hanno contribuito molte associazioni e istituzioni, tra cui in modo decisivo la FRA ed ILGA Europe. Si tratta di una iniziativa rivolta soprattutto alla Commissione e al Consiglio perché adottino un documento che nel linguaggio e nella prassi comunitaria ha un significato importante. Quello di segnare una strada condivisa per il raggiungimento di obiettivi concreti e misurabili per la piena uguaglianza. E’ già accaduto per altre materie, ed è uno strumento molto usato a livello europeo, che non aveva mai trovato una sua applicazione per le questioni connesse alla realtà delle persone omosessuali e transessuali in Europa. Lo studio del parlamento europeo è poco conosciuto Italia, e lo è anche di meno il “Programme d’actions gouvernemental contre les violences et les discriminations commises à raison de l’orientation sexuelle ou de l’identité de genre”, assunto dal Governo Hollande il 31 ottobre scorso, alla cui stesura ha contribuito in modo determinante la Federazione francese lgbt. Non credo ci voglia molto per spiegare l’importanza di questi documenti, che spingono verso una assunzione di responsabilità trasparente e misurabile rispetto a temi sui quali tutti si sentono in diritto di fare qualsiasi dichiarazione ma pochi, quasi nessuno, trasforma le parole in impegni precisi Credo anche che sia evidente come gli impegni assunti con questi documenti (a livello europeo come a livello governativo) necessitino non solo di un interlocutore preciso (nomi e cognomi) che rappresenti la realtà lgbt, ma anche di regole di trasparenza e verifica continua, dove tutti giochino il ruolo che gli compete. Io credo che in Italia sia giunto il momento di lavorare seriamente a una Road map italiana per i diritti delle persone e delle famiglie lgbt. Da tempo alcuni di noi chiedono che le associazioni trovino il modo di coordinarsi a livello nazionale, per razionalizzare i propri sforzi e renderli efficaci. Il fatto che i tentativi siano stati tutti fallimentari (la Federazione, il Comitato Sì, lo voglio, il Coordinamento nazionale Pride, dimentico qualcos’altro?) non mi sconforta, ed anzi mi spinge a pensare che dobbiamo moltiplicare gli sforzi per fare le cose necessarie per il nostro Paese: unirsi in obiettivi concreti e in una strategia definita, per incalzare le istituzioni su temi importanti per tutti e tutte, non solo per le persone e le famiglie lgbt. Per troppo tempo il movimento lgbt è stato parte del “problema Italia”, e non promotore della sua soluzione. E spiegare tutto con l’invadenza vaticana dice molto, ma non esaurisce affatto l’elenco delle responsabilità che anche noi abbiamo sulla realtà esistente. Da domani le associazioni hanno un paio di appuntamenti da non mancare: la più ravvicinata è quella del 12 dicembre prossimo, giorno in cui l’UNAR ha convocato un tavolo di confronto per un piano nazionale per l’applicazione in Italia della Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 2010. L’altro appuntamento è quello con il prossimo Governo, quale che sia. Appuntamento che si prepara anche attraverso le elezioni ed i mesi prossimi di campagna elettorale. Spero che tutte le associazioni comprendano quanto sia importante, oggi, l’unità degli obiettivi e della strategia, non l’unità delle associazioni, a cui non ho mai creduto. E la costruzione di una roadmap è un metodo secondo noi molto importante da saper utilizzare. Ecco perché insieme a Famiglie Arcobaleno la mia associazione ha deciso di invitare ad un primo incontro su questo tema tutte le associazioni lgbt nazionali, i coordinamenti locali e le associazioni italiane aderenti a ILGA. L’appuntamento è per il 30 novembre prossimo, presso la CGIL di Via Buonarroti a Roma. Per cominciare. Enzo Cucco Presidente dell’Associazione radicale Certi Diritti

martedì 6 novembre 2012

Que viva España!

La notizia che l’Alta Corte spagnola ha dichiarato perfettamente costituzionale la legge, approvata dal Governo Zapatero nel 2005, che ha esteso il matrimonio civile alle coppie dello stesso sesso, è importante quasi quanto l’approvazione della stessa legge. In attesa che i giuristi possano leggere il testo integrale e dirci quanto peserà questa decisione sull’evoluzione degli indirizzi giurisprudenziali europei in materia, ritengo che le conseguenze sul piano politico siano evidentissime, almeno per due ordini di questioni. La prima ha a che fare con la Spagna e con il suo modello politico-istituzionale. Contro i numerosi pessimisti che pronosticavano il peggio, soprattutto a causa del nuovo governo in carica che senz’altro avrebbe modificato gli equilibri in Corte, si dimostra quanto quel Paese mantenga una dimensione laica delle istituzioni che noi italiani non possiamo che invidiare. Non so se la Corte si sia già espressa su altre questioni al centro dell’impegno fondamentalista cattolico - per esempio la nuova legge sull’aborto - ma di certo possiamo affermare che i giudici non hanno avuto timore del cambio di governo. Sarà la decisione definitiva sul futuro del matrimonio tra persone dello stesso sesso o la nuova maggioranza cercherà ancora di intervenire per via legislativa sulla legge? Vedremo cosa accadrà nei prossimi mesi. Di certo questa sentenza renderà molto, molto più difficile ogni tentativo di cancellazione o riduzione dei diritti acquisiti. La seconda ha a che fare con l’Europa. Come è noto Hollande in questi giorni presenterà il suo progetto, Cameron ha pubblicamente dichiarato la sua posizione e la stessa Merkel ha a che fare con un dibattito tedesco sempre più orientato al riconoscimento del matrimonio egualitario. Tutto questo non potrà che avere effetti positivi, sia sulle istituzioni europee (comprese le Corti di Giustizia) sia sui singoli stati rafforzando l’opinione di chi, come me, ritiene che il processo di riforma dei diritti di famiglia dei paesi di cultura occidntale (sono diversi, ciascuno più o men legato alla tradizione giuridica dei singoli paesi europei) sia irreversibilmente orientato al riconoscimento del matrimonio egualitario. La questione, per l’Italia, rimane sempre la stessa: per quanto ancora riuscirà a resistere nel suo ruolo di baluardo della tradizione e del fondamentalismo cattolico? E quale sarà la via d’uscita che il prossimo Parlamento inventerà per non concedere alla modernità di fare il suo corso e farsi che il Paese accolga sul piano giuridico quelle trasformazioni che a livello sociale sono accertate ed accettate? Enzo Cucco Presidente della Associazione radicale Certi Diritti http://gayindependent.blogspot.it/

martedì 30 ottobre 2012

Rosario Crocetta e la prova del nove

Perché la notizia dell’elezione di Rosario Crocetta è importante? Perché è la prova del nove di quello che l’elezione di Nichi Vendola ha rappresentato: non una eccezione, bensì il segno che l’Italia, a dispetto della sua classe dirigente (tutta e non solo quella che ha residenza di là dal Tevere) non si fa impressionare più di tanto di fronte alla visibilità dell’orientamento sessuale dei candidati. E questa è una buona notizia. Una di quelle notizie che ci aiutano a credere che anche il nostro Paese ha un futuro normale, e non quello che appare dalle sgangherate cronache che leggiamo quotidianamente. Ma oltre ad essere un’ottima prova del nove è anche una buona notizia per i siciliani e le siciliane? Lo vedremo nei prossimi mesi, dopo che il gioco delle alleanze prossime venture avranno prodotto governo e scelte politiche concrete. Certo, l’alleanza con un Partito, l’UDC, che in Parlamento per affossare una proposta di legge contro l’omofobia non trovò niente di meglio che costruire una criminale similitudine tra orientamento omosessuale e zoofilia (in seguito portando l’autore di tanta raffinata cultura giuridica nientepopodimeno che al vertice del Consiglio Superiore della Magistratura) non lascia sperare nulla di rivoluzionario. Almeno sui temi dei diritti umani e della loro protezione in un paese come l’Italia che fa ancora una maledetta fatica a considerare i diritti delle persone omosessuali come diritti umani, appunto, e non come capriccioso epifenomeno modernista. Le Regioni, soprattutto quelle a statuto speciale, hanno competenze e mezzi che sono decisivi per uno sviluppo inclusivo e davvero orientato alla lotta contro ogni forma di discriminazione. La scelta di Rosario Crocetta di non fare della propria omosessualità una bandiera della candidatura sgombra il campo da quelle aspettative che non sempre i politici omosessuali e transessuali che hanno ricoperto incarichi elettivi hanno saputo corrispondere. Ora siamo tutti più liberi: lui di interpretare al meglio le richieste di uguaglianza e tutti noi nel valutare le sue scelte per quello che saranno. Al di là della retorica e dei buoni sentimenti. Proprio come in un Paese normale dovrebbe capitare sempre, con tutti. Buon lavoro Presidente Crocetta! Enzo Cucco Presidente Associazione Radicale Certi Diritti http://gayindependent.blogspot.it/

lunedì 16 luglio 2012

Piccole buone notizie

Con l’assemblea nazionale del PD si chiude un breve ciclo evolutivo del dibattito pubblico sul matrimonio civile tra persone dello stesso sesso in Italia. Ciclo partito con la presentazione della proposta di legge di iniziativa popolare “Una volta per tutti” (Zan & C.) e concluso proprio con la formalizzazione in sede assembleare del documento sui diritti del PD che, nella sostanza, ripropone una istituzione simile ai DICO. In realtà tutto nasce dalle dichiarazioni ravvicinate di Hollande e Obama, che seguono quelle di Blair e Cameron, così nettamente a favore del diritto al matrimonio civile – proprio in periodo pre-elettorale – da non lasciar spazio ad alcuna ambiguità. Le buone notizie che questo ciclo porta con se sono due: la prima è che finalmente nei partiti della sinistra ci si confronta (o almeno ci si prova….) per assumere posizioni concrete, a beneficio di chi vuole valutare i fatti e non solo le parole. Questa accelerazione di prese di posizione è, ovviamente, di natura elettorale, ma penso che si tratti di un fenomeno positivo, visto che per una volta il confronto è su scelte di merito e non solo di schieramento. Se poi si pensa al fatto che proprio questi ultimi due mesi, oltre a definire una posizione del PD (bella o brutta che sia) ha sciolto la riserva su cosa pensano sul matrimonio per le persone gay e lesbiche Di Pietro, Vendola e Grillo, direi che siamo di fronte a un risultato apprezzabile, perlomeno in termini di chiarezza del dibattito pubblico. La seconda piccola buona notizia è la nettezza del variegato mondo delle associazioni lgbt italiane nel dire NO ad ogni posizione che sia meno della piena uguaglianza: il riconoscimento delle unioni civili può integrare il diritto familiare ma non sostituire il matrimonio tra persone dello stesso sesso, nemmeno sul piano linguistico. Questa dura e praticamente unanime presa di posizione mi ha stupito molto, perché per anni il cosiddetto movimento si è gingillato su posizioni ambigue, senza mai scegliere (se non a livello personale o di singole associazioni) rincorrendo ipotesi di mediazione che avrebbero dovuto produrre il raggiungimento di obiettivi concreti. O peggio ancora, inserendo il diritto al matrimonio nei propri documenti congressuali, lasciandolo lì riposare in pace. Con i risultati che abbiamo sotto gli occhi. Spero che le tante realtà del movimento siano altrettanto consapevoli del valore di questa scelta, che prima che al contenuto deve saper guardare alla strategia: come ho sempre pensato e ripetuto, chiedere con fermezza l’estensione del matrimonio civile tout court non è solo giusto in sé ma è la migliore garanzia sulla legge che il Parlamento approverà. Solo in questo modo infatti, le forze politiche eserciteranno la loro funzione di mediazione con il Vaticano ed i suoi ventriloqui parlamentari, traendo il massimo, in termini di parità e uguaglianza sostanziale, per le famiglie composte da coppie dello stesso sesso. Quando nel 1980 al Congresso del Fuori! di Torino per la prima volta si parlò di matrimonio tra persone dello stesso sesso l’impatto con uno dei principali tabù della nostra società fu tale che lo stesso Congresso non riuscì ad andar oltre l’approvazione di un documento dove si chiedeva il riconoscimento delle convivenze. Da allora è passata molta acqua sotto i ponti (io stesso ho cambiato idea solo all’inizio degli anni 90) ed i tempi sono senz’altro migliori per affrontare questo tema. Ma non bisogna essere troppo ottimisti, perché: di tatticismo si può morire: ell’attesa dei posizionamenti altrui si possono precostituiscono cordate che hanno obiettivo SOLO elettorali. Ecco perché questa ri.-trovata unità di intenti del movimento deve trovare immediatamente un obiettivo concreto: si arrivi a breve ad una proposta di iniziativa popolare secca per il riconoscimento del matrimonio, soprattutto come occasione per l’allargamento del consenso su questo tema (perché in Parlamento le proposte ci sono già, a partire da quella di Rita Bernardini presentata nel 2008); non siamo mai troppo liberali: se il presupposto storico culturale che tutti condividiamo è che le forme di famiglia si stanno moltiplicando, il legislatore deve trovare la forza di individuare forme di riconoscimento anche per queste altre forme che non presuppongono matrimonio, ad integrazione, non sostituzione, del diritto familiare. Anche su questo esiste una ottima base nel progetto di “Amore civile” già trasformato in proposta di legge. Ed è la migliore risposta liberale, ovvero rispettosa della libertà e dell’autodeterminazione delle persone, contro uno stato che condiziona le nostre vite e le nostre scelte; diffidare dai falsi amici: i peggiori nemici dei diritti e dei doveri delle famiglie composte da coppie dello stesso sesso non sono quelli che li negano. Sono quelli, e sono tanti, che con una smorfia tra il sarcastico e lo snob ripetono infaticabili che i problemi “veri” non sono questi, che siamo dei pazzi col disastro economico che abbiamo di fronte ad occuparci di queste cose di minoranza, ecc. ecc. Sono, ovviamente, gli stessi, che premettono sempre di avere amici gay, e di non avercela coi gay…. In realtà in nome di questo falso realismo sono decenni che le riforme in materia di diritti fondamentali in questo paese sono bloccate, che siamo tra i primi per cause di violazione dei diritti della persona davanti alle corti internazionali e che nemmeno siamo capaci a dire, con la semplice chiarezza dei tanti vituperati politici statunitensi, che i diritti delle persone lgbt sono diritti umani; tutto si tiene: Bruno Defilippis, l’autore del manuale “Certi diritti che le coppie conviventi non sanno di avere” e infaticabile promotore di proposte di riforma del diritto di famiglia, mi ha detto tempo fa che lui era convinto che il muro che tiene su norme antiquate e sbagliate può crollare, da un momento all’altro, aprendo un varco a tutte quelle riforme necessarie in questo campo. Io penso che la battaglia per il diritto al matrimonio civile sia proprio quel colpo, ben assestato, al muro che tiene su uno stato che si sostituisce al diritto degli individui. Un colpo profondo, perché nessuna delle iniziative di riforma del diritto di famiglia oggi necessarie va così in profondità nella critica al primato maschilista nella famiglia e nella società.

giovedì 5 aprile 2012

"NON VI PERMETTEREMO PIU'". 5 aprile 1972 a Sanremo, la prima manifestazione del FUORI!


Questa nota è dedicata ad Angelo Pezzana, Françoise d’Eaubonne, Alfredo Cohen, Marc Payen Carlo Sismondi, Francis Padovani, Enzo Francone, Mario Mieli, Anne-Marie Fauré detta Grelois, Riccardo Rosso, Mauro Molinari, Franco Tridente, Manfredi Di Nardo, Vito Galgano.
Loro, insieme ad altri militanti che provenivano dalla Francia, dal Belgio, dall’Olanda, dalla Gran Bretagna, dalla Norvegia e ovviamente dall’Italia, 40 anni fa progettarono e realizzarono una manifestazione contro il 1^ Congresso internazionale di Sessuologia del CIS, Centro Italiano di Sessuologia, sul tema “Comportamenti devianti della sessualità umana” che si svolse nel Casinò di Sanremo dal 5 all’8 aprile 1972.
Si trattò della prima manifestazione in Italia per la difesa della dignità e dei diritti delle persone omosessuali, o, come allora si diceva, contro l’oppressione e per la liberazione dell’ “omosessuale rivoluzionario”. Insomma, la Stonewall italiana, come qualcuno l’ha definita.

La notizia della Conferenza fu colta dal Fuori! - nato poco meno di un anno prima - come la prima concreta opportunità per uscire alla luce del sole, sia come persone che come movimento. Dopo numerosi contatti con i gruppi gay e lesbici europei che proprio in quegli anni nascevano, i militanti si presentarono davanti alla sede del Congresso la mattina della sua inaugurazione, e accolsero i delegati con volantini, manifesti e slogan, in italiano, in inglese e francese. Alcuni di loro si erano iscritti e dopo aver ascoltato la prima parte degli intervenni, Françoise d’Eaubonne intervenne a nome di tutti (un po’ chiedendolo un po’ imponendosi alla presidenza). Di fronte a centinaia di partecipanti, increduli, per la prima volta omosessuali donne e uomini si presentavano non più come vittime ma come protagonisti della loro vita, decisi a “non permettere più” che altri potessero decidere al loro posto. Il linguaggio era duro, senza sfumature, come ben testimoniato dai documenti d’epoca, ed anche la manifestazione, pur rimanendo rigidamente nei confini della non violenza, non mancò di usare l’ironia, lo sfottò e qualche bomboletta puzzolente pur di cercare di boicottare l’evento il più possibile.
Il Centro Italiano di Sessuologia era nato non molto tempo prima, nel 1959, e, a modo suo, rappresentava un approccio moderno alla sessualità, con un occhio rivolto ad alcune delle novità della scienza medica e psichiatrica del tempo ma saldamente ancorato ad una prospettiva cattolica dell’antropologia umana. Il Comitato d’onore del Congresso contava nomi famosi, come Leonardo Ancona e Luigi Gedda, ed i suoi lavori per la maggior parte erano dedicati all’omosessualità, con una sezione sull’eziologia ed una intera mattinata dedicata alle terapie, soprattutto a indirizzo psicologico psichiatrico.
L’effetto fu enorme, e non solo di fronte ai congressisti. I grandi quotidiani nazionali riportarono la notizia corredata dalle immagini dei fotografi presenti (l’archivio della Fondazione Fuori! ne possiede 243). La stessa RAI riprese la manifestazione ed inserì il servizio in una puntata speciale di “AZ, un fatto come e perché”, che andò in onda il 6 giugno successivo su RAI 1. Quella mattina intervenne la polizia, che portò in Questura e identificò una decina dei manifestanti, denunciati per manifestazione non autorizzata. Il procedimento contro di loro si chiuse il 14 marzo del 1977 di fronte al Pretore di Sanremo che archiviò le accuse. Ma soprattutto fu grande l’effetto sulla vita del movimento, che da quella manifestazione trasse la forza necessaria per iniziare una storia breve, ma straordinariamente intensa.

Quella manifestazione è ben documentata. Innanzitutto le molte fotografie e i documenti originali conservati dalla Fondazione FUORI!, e poi il particolareggiato resoconto che apparve sul numero 1 della rivista, i tanti articoli sui quotidiani e settimanali dell’epoca e le testimonianze dirette dei protagonisti, tra le quali ricordiamo alcune interviste video di Enzo Francone e soprattutto le testimonianze contenute in due documentari, il primo realizzato da Alessandro Avellis e Gabriele Ferluga sulla storia del FHAR (La révolution du desir, 2007) e il secondo prodotto dalla Fondazione Fuori! nel 2011.

Tuttavia c’è ancora molto lavoro da fare: per raccogliere le testimonianze di coloro che parteciparono, ed anche per analizzare l’impatto della manifestazione, e della nascita del movimento, proprio su quelle forze che fino ad allora consideravano, nel migliore dei casi, l’omosessualità una malattia. Dobbiamo qui ricordare che lo stesso CIS, dopo quella manifestazione, ospitò per qualche anno un intervento di Carlo Sismondi nei corsi annuali di specializzazione in sessuologia. Ed è la stessa organizzazione che oggi ha nel suo consiglio direttivo Margherita Graglia, psicologa autrice di libri pregevoli e docente in numerose esperienze di formazione contro l’omofobia e sull’omosessualità maschile e femminile.

In attesa che gli storici e i testimoni di quegli anni arricchiscano questa parte della storia italiana, appare evidente, fin da questa prima manifestazione, quali siano state alcune delle caratteristiche più significative dell’esperienza del FUORI!: un deciso orientamento all’azione politica con lo sguardo fermo sulla realtà dei fatti che, dopo i primi anni intrisi di ideologia, diventò una pragmatismo senza eccezione; una attenzione ed interscambio continui con le realtà del movimento in Europa; il metodo “radicale” della lotta in prima persona, della assunzione piena della responsabilità di iniziativa e dell’assenza di delega. Metterci la faccia, insomma, che era la necessaria e diretta conseguenza di quel Come out!, FUORI! appunto, che non era solo uno straordinario slogan ma un vero e proprio programma politico e sociale. Un programma di liberazione, come in quegli anni si diceva.

Da quel 5 aprile 1972 son passati 40 anni, ma queste caratteristiche non hanno perso nemmeno un grammo del loro significato. Per allora, per oggi, e per il futuro.


Enzo Cucco
gayindependent.blogspot.it/
5 aprile 2012


PS: il 5 aprile del 1972 avevo 12 anni, già consapevole dei miei desideri, ero appena entrato negli anni, dolorosi e contorti, dell’accettazione della mia identità. Allora non lo sapevo, ma nel 1976, quattro anni dopo, quando scoprì il FUORI! e iniziò la mia esperienza nel movimento, mi resi conto del valore di quella manifestazione (e della storia stessa del FUORI!) e della gratitudine che per quegli uomini e quelle donne provavo. Dopo 40 anni quella gratitudine è intatta, anzi …..

giovedì 29 marzo 2012

L’UNIONE FA LA FORZA! COSA MANCA ALLA STRATEGIA ITALIANA PER IL DIRITTO AL MATRIMONIO

Le recenti sentenze del Tribunale di Reggio Emilia e della Corte di Cassazione son lì a dimostrare che chi, come l’Associazione radicale Certi Diritti, ha puntato sulla strategia delle cause pilota per cercare di ottenere il diritto al matrimonio civile per le persone dello stesso sesso, aveva visto giusto. Ma insieme alla soddisfazione di vedere i primi risultati concreti, tutti figli di quella sentenza della Corte costituzionale di cui a breve celebreremo due anni di vita, c’è la preoccupazione per l’estrema fragilità di questi primi passi e per la reazione di quanti, retrogradi clericali o raffinati intellettuali neo convertiti , non staranno a mani conserte aspettando che il processo di riforma in atto si compia.

Furori ideologici conditi da sfottò intellettuale (istruttivo leggere cosa scrive il foglio in questi giorni e come cerca di trasformare il diritto al matrimonio in una frivola moda a stelle e strisce figlia di postmodernismo e salotti chic) alimenteranno il blocco avversario che avremo di fronte che farà di tutto per rendere innocua qualsiasi riforma del diritto di famiglia. Una riforma che si accorga che le famiglie composte da coppie dello stesso sesso esistono, hanno figli e figlie, e godono di diritti e doveri costituzionalmente protetti.

Io però non riesco ad essere preoccupato più di tanto del fronte del NO. Non che ne disconosca potenza e capacità inibitoria, anzi dobbiamo aspettarci di tutto in questo senso: se qualcuno si fosse dimenticato la volgarità di alcune delle invettive di Fanfani contro il divorzio nel 1974 basterebbe ricordare cosa è accaduto poco tempo fa sul caso Englaro, di fronte al quale le battute di G&G (Giovanardi & Gasparri, Dio li fa e poi ….) sono poco più che barzellette.

Quello che più mi preoccupa è come si compone il fronte del SI, di quale strategia si è dotato, quali sono le tappe di questa strategia, i mezzi in campo, quali argomenti e quali iniziative riuscirà ad adottare per costruire quel consenso su una iniziativa che, per la prima volta, vediamo come possibile. E soprattutto quanto è consapevole della posta in gioco.


Il fronte del sì

Ma da chi è composto il fronte del SI al matrimonio? Ci sono coloro che producono solo comunicati stampa e mai si sono sognati di fare una iniziativa concreta in tal senso. O quelli che (e son tanti) quando si parla di questo argomento ti guardano con lo sguardo di chi la sa lunga ( una sintesi freack tra John Wayne e Amanda Lear … ) e ti dicono “ si si, certo, il matrimonio…” e poi impegnano il loro tempo cercando di legittimarsi nei confronti del partito di appartenenza come coloro che troveranno una sintesi in un non meglio identificato progetto di legalizzazione delle convivenze. Negli ultimi mesi il fronte del SI si è arricchito di alcuni importanti esponenti dello show business italiano che, finalmente e con semplici parole spiegano in cosa consista l’ingiustizia e la discriminazione contro le famiglie omosessuali in questo paese [*]. Ma il nucleo forte di chi non solo ci crede ma investe in questa strategia le proprie risorse (umane ed economiche) è davvero piccolo: il primo fu Francesco Bilotta, che tentò, invano, di convincere Arcigay, ed invece riuscì, senza colpo ferire, a convincere la neonata associazione radicale certi diritti che di questa iniziativa ha fatto, giustamente, il suo biglietto da visita principale. Ma soprattutto le coppie (una trentina quelle che hanno trovato la forza di mettersi in gioco personalmente, e la nostra riconoscenza nei loro confronti non sarà mai abbastanza) e una manciata di avvocati e giuristi che con dedizione e competenza costruiscono il puzzle di questa battaglia.

A questo primo gruppo si sono aggiunti l’On. Concia e il capogruppo del PD al Comune di Bologna Lo Giudice che, traendo le conseguenze politiche di una scelta personale, si stanno organizzando per attivare altre cause pilota. Anche Arcigay ha annunciato iniziative su questo tema, ma ancora non sappiano esattamente cosa.

Basta tutto questo per raggiungere un obiettivo così grande e ambizioso? Basteremo di fronte al fuoco mediatico che quando si comincerà a discutere sul serio in Parlamento si scatenerà su tutti noi? E soprattutto saremo capaci di resistere alle sirene che tenteranno di condurci sugli scogli di una proposta minima , al cui confronto i DICO saranno oro?



Consapevolezza


Non penso che nel nostro paese ci sia piena consapevolezza sul significato dell’estensione del diritto al matrimonio civile. Tantomeno nel movimento lgbt. Si tratta dell’abbattimento dell’ultimo, più significativo, ostacolo alla piena uguaglianza sostanziale, e non solo formale, delle persone omosessuali in questo paese. Non è un obiettivo estraneo al disegno costituzionale né frutto del capriccio di una minoranza agguerrita e alla moda, come qualcuno ci descrive. Ne, tantomeno, esiste contrapposizione (contenutistica o temporale) tra il diritto alla dignità e quello all’eguaglianza. In altre parole trovo stucchevole e fuori dal tempo coloro che si inventano una “maggiore facilità” o una più impellente necessità a favore di una legge contro l’omofobia per l’Italia. Da una tale legge non nascerebbe alcun diritto in più, mentre il riconoscimento del matrimonio sarebbe, di per sé, un potente contributo contro ogni forma di sessuofobia e omofobia costringendo la società intera ad interrogarsi in modo profondo su temi che tutti conoscono, come la famiglia e i figli.
E soprattutto penso che la nettezza di questa richiesta sia il principale investimento affinchè il risultato finale della battaglia (lunga o breve che sia) possa essere all’altezza delle aspettative e dei bisogni di chi quei diritti e quei doveri oggi non può sceglierli., come invece le persone eterosessuali possono.
Anche tra i più vicini dei nostri amici, ogni tanto, vien fuori il dubbio, la mezza frase, il richiamo a critiche su questa richiesta, così semplice eppure così difficile da comprendere. Vi sono coloro che pensano che la società non sia pronta, senza saper leggere i segni che sempre di più si moltiplicano in quella direzione. Altri pensano che il diritto al matrimonio non sia una priorità. Tutto legittimo, e dovremo investire molte energie perché l’obiettivo e la strategia siano compresi. Ma la vera domanda è un’altra: come mai coloro che la pensano allo stesso modo, ovvero coloro che riconoscono il valore strategico della battaglia per il diritto al matrimonio civile non lo sono abbastanza per trasformare questa consapevolezza in maggiore forza? Perché non si uniscono?



Forza


Ho già elencato le scarse forze a disposizione del fronte del SI. Ed è chiaro che devono essere moltiplicate. Servono più coppie, più avvocati disponibili a mettersi in gioco, più denaro per coprire le spese legali che aumenteranno, più risorse per cercare di essere attori dell’agorà mediatica su questi temi, e non solo semplici comparse. E soprattutto servirebbe un luogo ove ci si possa confrontare sulla strategia, far crescere la qualità delle argomentazioni e migliorare l’ efficacia delle scelte politiche e giudiziarie che dobbiamo assumere.
Invece accade che, dopo la sentenza della Corte costituzionale, Rete Lenford e l’Associazione radicale Certi Diritti non stanno più realizzando insieme la campagna di Affermazione civile, ed ancora non sappiamo esattamente il perché. Già abbiamo detto degli annunci di Paola Concia, Sergio Del Giudice e dell’Arcigay: felicissimi, ovviamente, che vadano avanti e producano iniziative, ma gli appelli e le disponibilità a parlarsi su questo obiettivo son tutti caduti nel vuoto. Non parliamo poi del Comitato Si, lo voglio!, che a ridosso della sentenza della Corte costituzionale sembrava lo strumento per rilanciare l’iniziativa di affermazione civile a tutto campo, ed è invece morto prima di nascere. Esattamente come è accaduto per la super annunciata federazione lgbt italiana o - non me lo auguro ma lo temo – come potrebbe accadere con il Coordinamento Pride nazionale. E’ come se le cose più semplici - l’unione fa la forza, per esempio - siano difficilissime per il movimento lgbt, incapace di anteporre interessi di parte (di parte associativa, di parte personale, di parte partitica) a quelli più generali.

Ma dove la troviamo la forza di cui abbiamo bisogno per andare avanti? Come facciamo a superare questa situazione?



La scelta


Non è stato il medico a prescriverci unità, e nemmeno, lo dico subito, l’obiettivo dell’unità può essere considerato prioritario rispetto all’iniziativa politica. In più penso che, da ottimista qual sono, prima o poi l’obiettivo verrà raggiunto: anche divisi si può raggiungere la stessa meta.
Sbaglia, però, chi pensa che il tempo (e la fatica, i soldi, i sacrifici….) che dobbiamo aspettarci sia legato solo a condizioni esterne dall’influenza del fronte del SI. Certo, contano le condizioni politiche generali, conta il coraggio e la lungimiranza dei partiti e la prevalenza degli interessi collettivi sugli interessi ideologici di una parte del Paese. Ma esiste anche un ruolo, anzi DOBBIAMO costruire un ruolo per quel fronte del SI che non può sedersi a un ipotetico tavolo di trattative (chi? in rappresentanza di chi? e discutere con chi….) prima ancora che la fase delle cause pilota giunga a compimento. Prima ancora che il Parlamento prenda atto che esiste la necessità di garantire uguaglianza sostanziale e non solo formale alle persone omosessuali.

So perfettamente che i mesi che abbiamo di fronte non sono i migliori per rilanciare la necessità di unire il fronte del SI: la fase congressuale dell’Arcigay, con i fisiologici sussulti che porta con sé, e sullo sfondo il rinnovamento del Parlamento, sono gli ingredienti migliori per rendere frizzante (diciamo così…) una realtà di confronto tra le diverse, potenziali anime del fronte del SI, oggi del tutto inconsistente.

Eppure credo che per essere all’altezza delle necessità del momento e cogliere le opportunità che si aprono (l’opinione pubblica che cambia, il tempo che passa, le cause pilota, l’Europa …) si deve avere la forza di fare una scelta: serve costruire e irrobustire il fronte del SI, sostenerlo, espanderlo oltre i confini di influenza diretta dei nostri gruppi. Serve, in altre parole, continuare la strategia, magari correggendola, perché le cause pilota sono lo strumento più potente ed efficace affinchè il Parlamento decida al meglio.

La scelta di unire il fronte del SI è nelle mani di coloro di cui ho fatto nomi e cognomi (noi compresi) e di tutti e tutte gli altri e le altre che credono in questa strategia. Non ci sono particolari condizioni, né passi indietro da fare: basta scegliere di unirsi.

Si, lo so, quello che ho scritto sembra una mozione degli affetti. Può darsi.
Ma qualcuno per favore mi può spiegare perché chi è d’accordo non si mette insieme?

Enzo Cucco
30 marzo 2012

lunedì 27 febbraio 2012

REGIONI, COMUNI E DIRITTI DELLE UNIONI CIVILI. Qualche riflessione per definire meglio aspettative e iniziative

Si annuncia una bella primavera per i diritti delle unioni civili in Italia. A Roma, forse anche a Milano, ed io spero in tante altre città, si raccoglieranno le firme su proposte di iniziativa popolare per il riconoscimento dei diritti delle famiglie senza matrimonio.
E’ ormai chiaro che in assenza di un Parlamento che faccia il suo mestiere, la strategia di chiedere alle Regioni ed agli Enti Locali di riconoscere e concretamente applicare i principi di non discriminazione e di pari opportunità anche alle coppie non unite in matrimonio si sta imponendo come la migliore strategia per la piena uguaglianza sostanziale e non solo formale, su queste materie.

L’Associazione radicale certi diritti ci ha creduto da sempre, e si è impegnata a far si che questa strada diventasse non sostitutiva ma complementare a quella che continuiamo a considerare maestra, del riconoscimento del diritto al matrimonio civile per tutti e tutte, eventualmente integrato con la regolamentazione delle convivenze.

Il rigoglio delle iniziative e le tante confusioni, linguistiche e politiche, che su queste materie si sono moltiplicate necessitano di qualche precisazione. Per chiarirci le idee, modulare l’iniziativa politica e tarare le aspettative su obiettivi raggiungibili e misurabili, non solo su parole d’ordine. Al riparo dalle strumentalizzazioni mediatiche che - novità della novità! – si affacciano anche dalle parti delle sinistre vincenti.

Vado per punti, magari in modo un po’ apodittico, ma penso che lo schematismo possa aiutare a capirci meglio.

Complementare, non sostitutivo

A condizione di risultare ripetitivo conviene risottolineare che stiamo parlando di una strategia complementare e non sostitutiva in materia di diritti delle coppie non unite in matrimonio. Come è noto il diritto civile, così come l’anagrafe e lo stato civile, sono di competenza esclusiva dello Stato. Su queste materie le Regioni e gli Enti Locali non possono intervenire. Ma possono utilizzare gli strumenti che le leggi già offrono. In altre parole: nessuna Regione ne alcun Comune italiano potranno mai riconoscere matrimoni o convivenze con tutto quello che ne consegue sul piano civilistico, ma possono aggirare l’ostacolo operando nelle materie di propria competenza, per azzerare od attenuare la disparità di trattamento tra coppie matrimoniali e coppie non matrimoniali.

Il dito e la luna

Da questo punto di vista l’obiettivo principale degli interventi delle Regioni e degli Enti locali deve essere quello di modificare le politiche ed i programmi di intervento, e NON può esaurirsi nel rilascio del certificato anagrafico di famiglia per vincolo affettivo o, peggio ancora, nell’istituzione del registro delle unioni civili. Il certificato, e il registro, sono il dito, mentre la luna sono tutte quelle piccole/grandi riforme che in ciascun ambito tematico possono essere operate secondo le competenze proprie dell’Ente. In questo sta la vera novità dei provvedimenti della Regione Emilia Romagna e del Comune di Torino: entrambi hanno considerato il certificato di stato di famiglia per quello che esso rappresenta, ovvero un semplice strumento per identificare le coppie non matrimoniali, cercando di distinguerle dalle semplici coppie conviventi e valorizzando il vincolo affettivo. Ma il punto principale del passo compiuto è innanzitutto l’aver riconosciuto pari dignità alle forme familiari, e, soprattutto, aver operato per estendere diritti e doveri (benefici e costi) oggi appannaggio solo delle coppie matrimoniali anche alle coppie non unite in matrimonio. Questa è, e deve diventare a mio avviso, anche la parte sostanziale più rilevante delle proposte oggi all’esame dei consigli comunali o delle proposte di iniziativa popolare.

Registro versus stato di famiglia

Chiarito che l’obiettivo è quello della riforma delle politiche e dei programmi di intervento, e che stato di famiglia per vincolo affettivo o registro delle unioni sono strumenti differenti nella forma ma con effetti sostanzialmente uguali per l’obiettivo del riconoscimento delle coppie non unite da matrimonio come soggetti di diritti e doveri, dichiaro subito la mia preferenza per lo stato di famiglia. Non ho alcun motivo giuridico o politico particolare, ma una paio di semplici constatazioni sulle quali sarebbe meglio riflettere un minuto di più.
Lo stato di famiglia per vincolo affettivo è più facile da ottenere e, allo stato, può essere rilasciato dalle anagrafi senza l’approvazione da parte dei comuni di particolari regolamenti. Lo fanno già alcuni comuni italiani, e nei comuni nei quali è stato necessario approvare un apposito regolamento o deliberazione (sto parlando anche di Torino) si è trattato di un “pegno” da pagare ad ufficiali dello stato civile che non paghi di una legge e di un regolamento anagrafico chiarissimo in materia (DPR 223/89) avevano bisogno di una ulteriore “copertura” politica da parte dell’organo elettivo. La cosa non deve stupire, e se questa è la strada da seguire anche in altri comuni che si proceda pure, a condizione di non scambiare obiettivo con strumento.
In secondo luogo gli stati di famiglia per vincolo affettivo sono codificati in uno strumento legislativo nazionale, che deve essere semplicemente applicato. Mentre i registri sono “appesi” a norme di altra natura, che risiedono, certo, nell’autonomia degli Enti Locali, ma che creano un “recinto” di cui non se ne sente l’esigenza né l’utilità in sé.
Perché quindi in Italia si continua a parlare di registri? Per due motivi: il primo è figlio di quella semplificazione linguistica che porta i media a non andare tanto per il sottile. I registri sono stati un obiettivo per tanti anni dell’Arcigay (soprattutto dell’Arcigay) che peraltro ha sempre avuto ben chiaro il valore ed anche il limite di questo strumento se non accompagnato dalla riforma delle politiche. Ma soprattutto se si vuole avere visibilità su questo tema è più facile se sbandieri il registro che un semplice stato di famiglia. Un po’ come le destre che quando parlano di queste materie evocano sempre i matrimoni gay e gli sfracelli socio-antropoligici che ne deriverebbero. La novità di questi ultimi tempi – la novità della novità, appunto - è che da più esponenti delle sinistre vittoriose si è affacciata la richiesta di parlare di registri, senza tanto sottilizzare. Perché scontrarsi in consiglio comunale sul registro dà maggiore visibilità che semplicemente applicare il regolamento anagrafico e modificare le politiche sulla famiglia. Credo che si debba fare grandissima attenzione a non alimentare oltre una certa misura il bisogno di visibilità mediatica di cui tutti siamo drogati (anche i gruppi lgbt) perché se alla forma non è legata sostanza poi capita che ai registri non si iscrive nessuno perché nessuno diritto reale viene esteso alle coppie non matrimoniali.

Doveri e non solo diritti

Spero davvero di non dover più ascoltare, o leggere, banalità come “il riconoscimento delle convivenze è una fregatura perché mi fa perdere punti nella lista di attesa per l’accesso all’asilo” o peggio ancora ascoltare quei soloni da bar sport che si accorgono ora che la legge italiana consente di estendere, da tempo, i doveri di assistenza reciproca anche ai conviventi. Chiedere l’estensione del matrimonio civile alle coppie tra persone dello stesso sesso, ma anche chiedere il riconoscimento delle convivenze, porta con sé, necessariamente, una quota di diritti e una quota di doveri, ed è bene che sia così. E’ un bene per la coppia ed è un bene per la società. Chi non vuole “perdere” benefici indiretti non chieda riconoscimenti. La regola è semplice da capire, e vale per tutti e tutte.

Ma quali sono questi diritti

Molti più di quelli che ci si possa aspettare. E la cosa notevole è che ce ne sono alcuni che sono già esigibili, anche senza il rilascio di stati civili o iscrizione a registri particolari. Su questo rinvio alla prossima pubblicazione di un vero e proprio manuale che l’Associazione Radicale certi Diritti insieme all’Associazione Luca Coscioni e sotto la guida magistrale di Bruno De Filippis sta per pubblicare con Stampa Alternativa.
Anche su questa materia, comunque, qualche parola di chiarezza deve essere detta: dimenticate testamenti, successioni, questioni patrimoniali e pensioni di reversibilità, per i quali ovviamente comuni e regioni non possono in alcun modo intervenire coi propri provvedimenti. E cominciamo invece a lavorare su tutte le materie nelle quali si può concretamente intervenire provando l’esistenza del nucleo familiare non unito in matrimonio con un semplice stato di famiglia (o con l’iscrizione al registro se proprio vi piace di più). Assistenza e sanità, casa, diritti del personale dipendente, istruzione e formazione, sono le prime aree di intervento nelle quali con un lavoro magari faticoso ma necessario dobbiamo andare a scovare condizioni di privilegio non giustificato per le coppie matrimoniali ed estendere a tutte le famiglie, anche quelle senza matrimonio. Impossibile elencare la casistica, ma vi posso assicurare che la rilettura degli atti di programmazione di regioni e comuni in queste materie può farci scoprire cose utili davvero, e non solo dichiarazioni di principio. In questo senso è appena iniziato questo lavoro col Comune di Torino, ma sicuramente la norma con più diretto impatto è quella della Regione Emilia Romagna.

Stiamo facendo il gioco degli altri?

Siamo sicuri che questo tipo di strategia (ottenere da regioni ed enti locali diritti e doveri senza un riconoscimento civilistico delle convivenze e dei matrimoni per le persone dello stesso sesso) non sia un autogol? Che, in fondo, questo tipo di strategia non dia ragione a chi, da più parti, ha predicato che “alcuni diritti” possono essere estesi alle coppie conviventi senza riformare il diritto di famiglia?
Il pericolo esiste, e sono certo che da parte di coloro che questa tesi hanno sostenuto ad un certo punto l’argomento sarà usato. Ma io credo nelle riforme graduali, ovvero credo che la società possa modificare il proprio impianto legislativo ed il quadro dei diritti e dei doveri riconosciuti, anche passo passo, senza la palingenesi del “tutto in una volta”. E questo non perché ci si debba accontentare dei piccoli passi, ma solo perché i “piccoli passi” sono la stategia più efficace ORA IN ITALIA per operare vero cambiamento, politico, istituzionale, sociale e culturale. Basta guardare alla tradizione radicale (di cui siamo figli naturali e legittimi) in materia per comprendere che il doppio registro di intervento non è mai una rinuncia, ma una semplice strategia.

Magari tra qualche tempo la situazione cambia, e noi dovremo essere pronti a cambiare con essa. E magari l’altra strategia costruita in questi anni, quella delle cause pilota, porterà maggiori risultati di quelli fino ad ora ottenuti. La litigation strategy rimane per noi di CD il primo pilastro dell’azione per l’uguaglianza sostanziale e non solo formale delle persone lgbt in Italia. Non esiste una priorità, ne temporale ne contenutistica tra i due pilastri, ma una unica di finalità che a me pare del tutto evidente, oltre che necessaria.
Su come si stia costruendo in Italia il primo pilastro, ovvero la strategia delle cause pilota, magari qualche osservazione è altrettanto necessaria. Giusto per alimentare quel confronto sulle strategie che in Italia o manca del tutto o è drogato dalla solita, miope e bulimica fame di visibilità mediatica da cui tutti e tutte, chi più e chi meno, dobbiamo una buona volta liberarci.

Enzo Cucco
Associazione radicale certi diritti