Non posso non aggiungere la mia voce ai tanti e alle tante che parlano benissimo di “120 battiti” e vi invitano ad andarlo a vedere. In fretta. Dimenticate però due tentazioni: la prima è quella di considerarlo (il film) la storia del movimento contro l’Aids. Non lo è, per ammissione del regista e per il ricordo dei tanti (io tra gli altri) che hanno cominciato ad occuparsi di AIDS (ed a combatterlo) molto prima della nascita di Act Up. La storia infatti è quella del gruppo parigino, nato nel 1989, e sia nel mondo che in Italia si fu attivi contro l’Aids da molto prima, almeno dal 1982. Il film tratta della storia di Act Up Parigi, e di un momento topico della lotta all’Aids, quello della prima sperimentazione degli inibitori, una combinazione dei quali, dal 1996, diede vita alla HAART, la terapia che, con continui aggiornamenti ancora in corso, consente alle persone con Hiv di continuare a vivere. La seconda tentazione è quella di farsi sopraffarre dai ricordi personali, ed a stento riesco a farlo. Vi confesso che ho pianto da metà film in poi, ricordando gli amici cari che hanno lottato contro la sindrome e non ce l’hanno fatta. E quegli anni pieni di angoscia e impegno: il mare di emozione certe volte sembrava proprio invadermi.
Lottando contro queste due
tentazioni sono uscito facendo qualche riflessione, che condivido:
1 . dovete andarlo assolutamente a
vedere. Ma non mi riferisco solo alle persone lgbt. Mi riferisco soprattutto
a tutti gli altri ed alle altre. Perchè questo film, molto più di tanti,
racconta che, attraverso la lotta all’AIDS ed al protagonismo delle persone con
Hiv e delle associazioni, sia cambiato per sempre ed in modo radicale
l’approccio alla sanità ed alle case farmaceutiche. Chi ha un pò studiato la
storia della medicina sa che non esiste alcun movimento di pazienti che ha
smesso di essere “paziente” ed ha rivendicato con grande forza il tempo
che inesorabilmente passava, come quello delle persone con Hiv. Anche perchè
una parte di costoro arrivava dalla politica lgbt (ed aveva pratica politica) e
ne denunciava con forza, certe volte in modo che è sembrato poco generoso, i
timori e gli imbarazzi. Il tempo che avvicinava alla morte, il tempo che
trascorreva nell’attesa che la ricerca scientifica e le case farmaceutiche
facessero le loro sperimentazioni. Quel tempo maledetto che passa tra la
diagnosi di una patologia ed il suo esito. Immagino che molti di voi abbiano
avuto almeno un parente con il cancro o l’epatite virale o una sclerosi: per
essi (e non solo) il tempo non è indifferente, ed ogni allungamento della
sperimentazione di nuovi farmaci significa giorni e mesi di speranza in meno.
Chi si ricorda le prime speranze, e le grandi disillusioni, che l’AZT provocò
(parlo della seconda metà degli anni 80)? Possiamo dirlo che in molti morirono
in attesa di questo farmaco o per le dosi troppo alte che si assumevano
all’inizio della terapia? Chi si ricorda le richieste di eutanasia che
arrivavano dai malati terminali? Ecco, dovete andarlo a vedere perchè racconta
bene come nacque l’indignazione delle persone con Hiv, ed in generale come
nasce l’indignazione di ciascuno di noi di fronte a un futuro nemico che sembra
ineluttabile. E ci sarebbero da dire molte cose sulla crisi del rapporto con le
cause farmaceutiche e l’antiscientismo che l’AIDS ha rianimato. Ma non è questo
lo spazio. Non sto affatto dicendo che l’alternativa sia quella di accettare
passivamente la situazione (e quante polemiche ci furono contro le associazioni
di assistenza che pure la predicavano ..... ). Sto dicendo che il surplus di
rabbia che animò le azioni di Act Up nasce da qui. Fu efficace la loro azione?
Siamo in grado di affermare che il loro attivismo (e il nostro ?) accellerarono
la strada che ha portato alle nuove terapie (almeno a quelle)? Non so, e credo
che ci vogliano altri anni per riflettere su questo punto. Sta di fatto che
nessuna delle patologie con questo grado di complessità biologica ha mai potuto
usufruire nella storia della medicina di tanti finanziamenti. Reagan fu
svegliato da Liz Taylor nel 1987 dopo la morte, tra gli altri, di Rock Hudson
nel 1985. Mitterand solo nel 1992 chiese scusa per il sangue infetto usato
nelle trasfusioni ed il film racconta bene come Act Up Parigi chiedesse molto
di più a quel Presidente e a quel Governo. Non parliamo dell’Italia e della sua
classe politica che per molti anni è stata colpevole di un silenzio assordante
o a vere e proprie follie (Donat Cattin “ce l’ha chi se lo va a cercare”, 1987
è solo la punta di un iceberg) scaricando su Poggiolini e De Lorenzo tutto
quello che ha potuto. Questi risvegli tardivi hanno contribuito,
indirettamente, alla corsa alle terapie e gli investimenti ingenti che abbiamo
avuto per l’Aids. Almeno in Europa e negli USA. Col senno di oggi due o tre anni
di silenzio, anche 10, non sono i due o tre anni di censura, anzi di omofobia
vera e propria, che furono. Ecco, io credo che dobbiamo alle migliaia di
persone con Hiv che hanno lottato e fatto coming out il fatto che la terapia
sia arrivata “così” in fretta.
2.
ma il film riguarda tutti e tutte
perchè la personale reazione a una perdita, ad un destino che sembra
ineluttabile, all’attaccamento alla vita (ed all’erotismo che ne è la sua
manifestazione) nel film è benissimo raccontata. Silence=Death era lo
slogan più importante di Act Up. Ed il film ne è la trasposizione più cruda,
una delle più dirette che ho visto al cinema, senza la pornografia dei
sentimenti che spesso aleggia su queste storie, ma anche con grande pulizia e
nessun infingimento. Le scene dedicate alla scelta di fare eutanasia ed al
lavaggio del corpo morto del protagonista sono potentissime, oltre che vere. Vere.
No al silenzio: valeva allora e vale anche oggi. Sempre. Perchè il silenzio
(sociale, le scelte personali son sempre da rispettare) è complice
dell’inattività. Uno degli slogan di Act Up era “knowledge = weapon”: la
conoscenza è un’arma formidabile per battere il silenzio e, aggiungo io, per
possedere quella consapevolezza sui fenomeni di cui abbiamo bisogno. Al cinema
è impossibile parlare di Aids senza evitare il groviglio emozionale che provoca
(da “Che mi dici di Willy” in poi ...), ma le emozioni sono parte della nostra
vita, e con esse facciamo i conti, direttamente o indirettamente. Meglio
dirselo che esistono invece che negarle, perchè il silenzio è morte. Morte in
vita, prima ancora di quella reale, e più inaccettabile perché evitabile.
3 . questa riflessione è diretta ai
gruppi lgbti italiani (e a coloro che si interessano della sua storia): tante
volte abbiamo detto che l’AIDS è stato il buco nero in cui abbiamo perso una
generazione di attivisti (anche di attivisti, dico io...) ma non abbiamo a
sufficienza riflettuto su cosa hanno voluto dire quegli anni. Quanto ha
influito l’avvento dell’emergenza AIDS (perchè tale era all’inizio degli anni
‘80) sulla liquefazione del Fuori! la cui estinzione è cominciata con il 1982?
E quali sono state le conseguenze sulla vita dell’Arcigay che nel 1985
cominciava la sua vita nazionale? Domande le cui risposte questo film
sollecita. E forse è venuto il momento di darsele, sine ira ac studio.
Enzo Cucco
15 ottobre 2017
PS: lasciate perdere (questo è il
mio consiglio) lo sciocco post della casa di distribuzione e la decisione
stupida della censura italiana di renderlo vietato ai 14 anni. Non ne vale la
pena di sprecare energie per queste due cose, il film è potentissimo di suo.
Basta andarlo a vedere, e forse i minori di 14 anni non lo capirebbero. E non
lo dico per il sesso esplicito, sia ben chiaro.....
PPSS: non sono un critico
cinematografico e non lo voglio diventare. Ogni riflessione sull’estetica del
film esula da queste considerazioni. Anche se, e mi ripeto, è potentissimo e da
vedere assolutamente.
PPPSSS: questo pezzo è dedicato al Gruppo Solidarietà Aids ed al Forum Aids Italia.