domenica 6 settembre 2009

Il grande terremoto e il fascino delle carogne

Quale riflessione aggiuntiva sul caso Boffo.

Il caso Boffo può essere visto come un gioco di ipocrisie parallele: da una parte Feltri che giura e spergiura di non essere antiomosessuale, ma intanto sa benissimo che l’arma che ha usato per delegittimare agli occhi dell’editore cattolico il direttore del quotidiano della CEI non sono le molestie e il processo derivatone, bensì la presunta omosessualità del direttore stesso. Per quanto ne sappiamo, infatti, Boffo ha dato le dimissioni proprio per non imbarazzare la CEI, e su cosa se non sulla sua presunta omosessualità, visto che del processo era perfettamente informata?
In parallelo Boffo si cimenta con un'altra ipocrisia, uguale e inversa alla precedente: nelle sue numerose difese pubbliche si guarda bene dal chiarire il punto, non rivendicando né la sua omosessualità né, badate bene, la sua eterosessualità. Tutto questo appellandosi a un diritto alla privacy ormai buono per ogni situazione ma utile per nessuna.
Dal gioco di queste due ipocrisie ne deriva un bell’effetto di straniamento per chi guarda alla realtà dei fatti senza farsi ammaliare dalle dietrologie, per cui su questa vicenda scorrono fiumi di analisi con ipotesi poderose e strampalate insieme, ma nemmeno una riga sulla cosa, semplice ed evidente, che rimarrà negli annali: nel XXI secolo in Italia è possibile perdere il posto da direttore di un quotidiano perché qualcuno svela pubblicamente la tua omosessualità. Punto. E il fatto che l’editore in questione sia una società editoriale controllata dalla CEI (si badi bene la CEI, non lo Stato Vaticano, quindi un soggetto giuridico che applica le leggi dello stato italiano) è un aggravante, non una attenuante come pensano in molti.

Ci sono, però, altri due elementi meritevoli di attenzione.

Il primo è il fascino evidente che le “carogne” alla Feltri esercitano su molti, anche tra i cosiddetti leader del movimento omosessuale italiano. Diciamoci la verità: in effetti un fremito di piacere lo sentiamo tutti quando una persona, considerata nostro nemico, viene sputtanata così platealmente. Ed in questo innegabile piacere momentaneo anneghiamo tutto il nostro garantismo e la difesa, squisitamente liberale, dei diritti degli individui, dimenticandoci che Feltri, applicando la legge del taglione, ha usato gli stessi mezzi diffamatori contro i quali lui stesso e il suo editore hanno scritto migliaia di righe in questi anni.

Parte del fascino che la vicenda Boffo ha esercitato sta in quell’annuncio di futuri sfraceli che Feltri paventava nei suoi primi articoli. Certe cose, ovviamente, si possono anche non dire esplicitamente, ma in un paio di passi e soprattutto nella quella massa di non detto che corre sulle onde dei cellulari dei giornalisti d’Italia la questione centrale era: ma quanti dossier avrà a sua disposizione il direttore de Il Giornale? Quanti saranno quelli che riuscirà a sputtanare ancora, o a tenere sotto ricatto? E quanti sono gli altri prelati in “odore” di omosessualità che, Boffo docet, sono ricattabili?
Tutto questo, ovviamente, ha molto a che fare con la voglia di guardare dal buco della serratura di molti di noi, e dalle storie, spesso vere favole, che si raccontano, su archivi segreti e potenti che li usano per i loro affari. E così anche stavolta abbiamo tenuto tutti il fiato un po’ in sospeso in attesa del “grande terremoto”, la maxi velina con nome e cognome di cardinali e loro amanti che secondo qualche grande stratega del movimento omosessuale darebbe la botta definitiva all’arroganza vaticana per finalmente avviare l’Italia verso il sol dell’avvenire della liberazione omosessuale.

La questione omosessuale dentro alla chiesa cattolica, e la sua co-influenza (insieme agli argomenti teologici e pastorali o presunti tali) sulla costruzione della morale cattolica in senso così restrittivo nei confronti del comportamento omosessuale in generale, è molto più seria di una storiella di pettegolezzo. E la si dovrebbe trattare con argomenti e mezzi che non hanno nulla a che vedere con quanto abbiamo visto in azione nel caso Boffo.

Enzo Cucco
http://gayindependent.blogspot.com/
6 sett 09

domenica 30 agosto 2009

Idee radicali su Boffo e la Privacy

Il riformista, 30 agosto 2009
Rubrica delle lettere

Con una ipocrisia degna di peggior causa Vittorio Feltri sostiene che il fatto per cui il Direttore di Avvenire, Dino Boffo, sia da giudicarsi immorale è la condanna per molestie e non per le sue relazioni omosessuali, come se lo svelamento dell’omosessualità del Direttore dell’organo di stampa di proprietà della Conferenza Episcopale Italiana non fosse molto di più che sapido pettegolezzo, e non si inserisca nella feroce lotta per l’ egemonia sul capo del Governo tra la Lega e il Vaticano.

Quello che invece è molto chiaro è che il Direttore de Il Giornale, applicando la ben nota legge del taglione, dà maggior vigore proprio a quel metodo che con il suo giornalismo al vetriolo intende censurare, ovvero delegittimare il proprio avversario usando l’arma del giudizio morale, in particolare del giudizio sulla sua moralità sessuale.

L’insopportabile ambiguità dell’iniziativa di Vittorio Feltri, che per difendere il diritto alla privacy del Presidente del Consiglio sputtana quella del Direttore de L’Avvenire, è il motivo per cui ci sembra che si debba, con forza, difendere la libertà di Boffo, e chiunque altro, ad avere relazioni sessuali con adulti consenzienti senza che questo diventi oggetto di valutazione morale da parte di chicchessia.

E quando parliamo di difendere la libertà alla privacy di Dino Boffo ci riferiamo anche all’ipotesi che egli possa essere, a un tempo, omosessuale e contrario ai diritti delle coppie tra persone dello stesso sesso. Non v’è nessuna logica accettabile dietro l’argomento per cui un omosessuale “velato” non possa attaccare pubblicamente iniziative politiche sull’omosessualità. La nostra personale incomprensione della distonia tra comportamenti privati e posizioni pubbliche non può arrivare a salutare come benvenuti outing ‘forzati’ e violenti come quello fatto da Feltri.

Eppure se si rimane dentro la logica che il doppio caso Berlusconi Boffo rappresenta, tutto è legittimo, comprese le prossime neanche tanto velate minacce di Feltri in merito ad altri “svelamenti” di doppie moralità.

In verità tutti gli attori di questa vicenda sanno benissimo che l’unico modo per uscire da questo circolo vizioso di ricatti incrociati è semplice, e passa attraverso la serena rivendicazione di Boffo, Berlusconi e compagnia, non solo del diritto alla privacy, ma del diritto ad avere relazioni sessuali e sentimentali senza che questo diventi oggetto di valutazione morale. Non sappiamo se questo accadrà mai, per il momento registriamo solo la negazione di qualsiasi cosa da parte di Berlusconi e il rumoroso imbarazzo di Boffo, che si trincera dietro la solita teoria del complotto e della aggressione.

Noi, pazienti, continueremo a difendere il diritto alla privacy delle loro Signorie. Ci facessero, però, la cortesia di guardare con meno sprezzante superficialità alle richieste di eguaglianza che arrivano da buona parte di quella minoranza di qualche milione di italiani che si preoccupa più dei propri diritti che della moralità altrui. Alla fine sarebbe un bene per tutti, anche per loro.

Enzo Cucco, direttore della Fondazione Sandro Penna
Sergio Rovasio, segretario Associazione Radicale Certi Diritti

sabato 23 maggio 2009

LAMBDA FACTOR!

Una delle cose che mi ha più colpito durante il Torino Pride 2009 è la partecipazione di volontari e volontarie all’organizzazione. Non so se qualcuno li ha contati ma sicuramente siamo a poco meno di 100 tra tutti e tutte coloro che hanno regalato almeno un paio d’ore di lavoro gratuito nelle tre settimane che hanno preceduto la manifestazione del 16 maggio. E se non sbaglio per la maggior parte di costoro il nostro è stato il primo Pride.

Tutto questo è già successo con il Torino Pride 2006, in dimensione anche maggiore, ed alcuni di coloro che si avvicinarono a quel Pride hanno continuato a lavorare con le associazioni esistenti, o addirittura costituendo di nuove.

Questo vuol dire che i Pride torinesi hanno assolto ad una delle loro principali funzioni, assumendo sempre più significato per una fascia di popolazione omosessuale e transessuale ben più ampia di quella di per se sensibile ai temi politici e sociali.

Il carattere di festa che questo evento ha sviluppato negli anni ha molto aiutato questa diffusione. Il fatto stesso che molti dei nuovi volontari/e siano arrivati dagli ambienti delle discoteche e da facebook, può voler dire che il muretto tra mondo del divertimento e mondo della politica, almeno per le persone lgbt, si stia un po’ sgretolando.

Questa novità è importante per molti motivi, non ultimo quello legato alla costruzione di un sentimento di appartenenza ad una comunità - che vada più in là dei propri partner sessuali – ch questo comporta. Se tra i luoghi del divertimento ed i luoghi della politica, ma anche con quelli della cultura, c’è osmosi significa che aumenta il livello di consapevolezza e responsabilizzazione complessivo della popolazione omosessuale sui suoi diritti, individuali, di coppia e collettivi.

Credo in particolare, che proprio una città come Torino, ove l’osmosi tra questi mondi si è sperimentata soprattutto negli anni tra il 1978 e il 1982 con l’esperienza della discoteca - poi bar - gestiti direttamente dal Fuori!, e con il Festival del cinema lgbt, abbia molto da dire su questo aspetto del rapporto tra movimento politico e mondo omosessuale. E forse non è un caso che proprio in quegli anni si celebrarono i primi Pride di piazza in Italia, a Torino…

La sensazione che ho avuto con il Pride 2009 è che il grado di consapevolezza sul valore sociale e politico del Pride, non solo quello festaiolo-liberatorio, sia stato più alto che nel passato. Se la mia sensazione è vera – ed è stata confermata da molti dei membri del Coordinamento con cui ho parlato in questi giorni – è compito dei gruppi comprendere questo fenomeno e valorizzarlo appieno.

Accettare che le persone partecipino ad attività sociali e politiche senza chieder loro adesione a modelli predefiniti, ed anzi valorizzarle per quello che possono esprimere, è un cambio di passo fondamentale che coloro che hanno a cuore la vita sociale, culturale e politica della comunità lgbt (in altre parole la stessa costruzione della comunità ) non possono non compiere: la comunità, infatti, vive quando è libera, e quando ciascuno di coloro che ne è chiamato a far parte riesce ad esprimere se stesso nei modi e nei tempi che ritiene più naturali. Il modello militante che noi incarniamo non è ne l’unico né il migliore, né tantomeno lo deve diventare.

E’ così che si crea quell’humus entro il quale nasceranno (magari son già nati) i nuovi leader del movimento. Coloro che sono da più anni sulla cresta dell’onda devono sentire questa responsabilità: lasciar crescere e responsabilizzare forze nuove. Quello che noi possiamo fare (perché l’esperienza conta, eccome se conta…) è di cercare il Lambda Factor che è in loro, quell’elemento in più, difficile da definire, che trasforma una persona da sensibile politicamente e socialmente, a leader. Siamo capaci di vederlo in Lambda Factor in coloro che ci stanno a fianco?

Enzo Cucco
http://gayindependent.blogspot.com/


PS: Lambda è una lettera dell’alfabeto greco, iniziale di un verbo che significa liberare, liberarsi, sciogliere. Non a caso il movimento degli anni ‘70 ha scelto questa lettera come uno dei suoi simboli: liberarsi dalle catene che la società ci ha imposto, ma soprattutto liberarsi dalle nostre catene interiori, figlie dei sensi di colpa, dell’autocensura e del nascondimento a cui spesso ci autocondanniamo.

martedì 19 maggio 2009

Perché il Torino Pride 2009 è stato un successo

Quando si vince non si va in vacanza. E’ una regola che ho imparato alla scuola radicale che, al di là dell’apparente contraddizione, descrive bene la responsabilità che sta in capo a chi ottiene un risultato importante. Ed io ritengo che il Torino Pride 2009 sia un successo molto importante. Ovviamente di natura diversa da quella del Pride nazionale 2006, ma altrettanto significativo per la realtà torinese e piemontese.
Vi propongo quindi alcune riflessioni, e vi prego di leggerle anche alla luce della nostra situazione nazionale: magari possono essere utili anche per questa.

Un successo niente affatto स्कोंतातो
Il successo del Torino Pride 2009 non era scontato: zero soldi; pochissime inziative precedenti la settimana clou (utilissime per l’effetto trascinamento); un coordinamento organizzativo semi nuovo nella sua composizione rispetto a quello del Torino Pride 2006, che ha avuto meno tempo per armonizzare i diversi stili (in alcuni casi anche le diverse visioni) che sono presenti al suo interno; praticamente zero la risonanza sui media, e non per colpa del coordinamento bensì per mancanza di risonanza polemica dell’evento.

Cosa ha funzionato quindi?

Il coordinamento
A un certo punto è scattato anche col nuovo coordinamento quel fattore indefinibile che, facendoci mettere da parte incomprensioni e malumori, ha concentrato lo sforzo di tutti sull’obiettivo da raggiungere. Non c’è stato nessun miracolo particolare, ma solo il senso di responsabilità di donne, uomini e trans di buona volontà, che hanno saputo fare il necessario passo indietro quando è stato il momento di farlo.

Il passa parola
Ha funzionato, e questa volta per davvero, il passa parola, sia individuale che attraverso i social network. Io non ci credo assolutamente che i rari pezzi apparsi sui quotidiani (nessuna notizia al TGRai e pochissimi passaggi sulel private, tranne i pezzi della giornata di manifestazione) abbiano portato in piazza le 50.000 persone che abbiamo visto. E su questo elemento si deve lavorare molto nel futuro.

Le novità
Ci sono state alcune piccole ma significative novità: la proposta di una iniziativa specifica all’Università, che si appoggia su un nuovo pimpante gruppo appena nato; l’appello rivolto alle comunità etniche presenti in Città, scritto nella loro lingua; l’adesione ufficiale della FIOM e la partecipazione di una delegazione nostra alla loro manifestazione e viceversa; l’accoglimento da parte della Presidente della Regione, del Presidente del Consiglio, di un Assessore, del capogruppo di opposizione e di molti altri consiglieri ad un dibattito sulla legge contro tutte le discriminazioni ferma in Consiglio regionale (mi dite per favore in quali Regioni si mettono insieme tanti interlocutori istituzionali ad un appuntamento lgbt?) ed infine il Sindaco, che ha accolto la nostra richiesta di esporre la bandiera del movimento dal balcone di Palazzo Muncipale.

I numeri
Una breve riflessione sui numeri della manifestazione: le forze di polizia hanno dichiarato che a sfilare erano 10.000 e altrettanti ai lati. Chi ci è stato ha visto la lunghezza reale del corteo, e la quantità enorme di gente che ai due lati del percorso ha applaudito e sostenuto la manifestazione dal suo inizio in piazza Solferino fino in piazza del Municipio,. Fate voi i conti: nelle parti ove si andava più celermente c’erano 700/800 metri di corteo ininterrotto che ha occupato una sede stradale larga almeno 6/8 metri. Mentre quando siamo stati fermi un po - per il blocco del carro del coordinamento - il corteo andava da Via Pietro Micca ang Via Bertola fino a Piazza Solferino ininterrottamente. 50.000, quindi, è una cifra credibile. Vi prego di paragonarla con i 15.000 metalmeccanici della mattina (fonte sindacale, la polizia ha detto 8.000) ed ai 3.000 studenti della manifestazione di martedì 19 maggio contro il G8 delle Università. Forse che avremmo dovuto menarci, o menare qualcuno, per avere lo stesso spazio sui media?

Seminare produce frutti
Io credo che tutto questo sia conseguenza del grande investimento fatto con il Pride nazionale del 2006, che ha costruito, tra di noi e con la Città, quelle relazioni e quella credibilità che ci hanno consentito di organizzare una manifestazione di così ampio successo. Ma credo anche che molto si debba alla storia del movimento in questa Città, che dalla sua nascita col Fuori! nel 1971 fino alla costituzione del Servizio lgbt presso il Comune, ha saputo sempre individuare obiettivi concreti e coltivarli. Una storia che si rinnova anche profondamente se è vero, come è vero, che dal Pride 2006 nella nostra Regione sono nati ben 8 gruppi nuovi, di cui 5 in città e 3 nelle diverse province.

L’unica manifestazione laica di massa in Italia
E credo anche che i Pride siano diventati il luogo ove tutti coloro che hanno a cuore i diritti ed hanno in uggia i fondamentalismi, soprattutto della gerarchia cattolica, possano esprimersi. I Pride sono oggi, in Italia, le uniche manifestazioni laiche di massa, o sbaglio?

Torino, quindi, vive un ciclo positivo per quanto riguarda il rapporto tra la comunità lgbt, le Istituzioni e la Città intera. Come tutti i cicli è cresciuto per molte ragioni, tra le quali la storia del movimento ed una contingenza politica oggettivamente particolare sono tra i principali. Ma come tutti i cicli può declinare, per il venir meno dei fattori che lo hanno determinato, ed anche della sintonia con una parte della comunità cittadina e regionale che abbiamo costruito.

Ecco perché non possiamo andare in vacanza. Ecco perché si deve sfruttare il momento finchè è positivo, portando a casa il più alto numero possibile di obiettivi duraturi. Quegli obiettivi che, se cambiasse l’aria, sarebbe più difficile smontare.

Ah, dimenticavo, al Torino Pride 2009 hanno contribuito, secondo me, in modo determinante l’alto numero di nuovi volontari e volontarie che hanno risposto ai nostri appelli. Ma su questo dirò qualche cosa in più in un prossimo pezzo.

Enzo Cucco
http://gayindependent.blogspot.com/

giovedì 14 maggio 2009

I dispettosi

Quando ieri ho letto i lanci di agenzia sull’incontro tra il Presidente Fini e quattro organizzazioni gay italiane, mi è venuta voglia di scrivere una nota su “I rancorosi”, o “I rosicatori”, come preferite voi, pensando a quel pugno di esponenti del movimento lgbt che qualche mal di pancia rispetto all’ obiettivo mediatico raggiunto da Mancuso lo hanno di certo avuto. Poi gli articoli apparsi sui quotidiani stamane hanno esaurito questo desiderio e mi hanno costretto a riflettere, fedele al sottotitolo del mio blog, sulla sostanza di quanto è accaduto.

La mia impressione è che per il momento l’unico obiettivo raggiunto dai due protagonisti è quello di aver sparigliato (poco poco, per la verità….) gli schemi rigidi che i lettori di quotidiani hanno in testa, e che peraltro entrambi i contendenti nel passato hanno robustamente contribuito a creare: una destra compatta contro i gay ed i gay compatti nemici della destra.

Vi sono però altri due obiettivi, meno evidenti ma altrettanto significativi per le parti in causa, che bisogna segnalare: Fini ha fatto un dispettuccio alla Chiesa e alla stragrande maggioranza della sua parte politica, perché dietro alla formalità dell’incontro ed alla rigidità dei limiti imposti ai temi da trattare, è evidente che aprire sul fronte omosessuale significa smarcarsi sul tema dei diritti da una maggioranza sostanzialmente becera, o assente. Fini si candida ad essere leader di una ala liberal del centrodestra? Questa è una ottima notizia, vedremo che effetti concreti avrà sulle proposte che passeranno, o non passeranno, dal Parlamento.

Mancuso, presentatosi all’incontro con quella che ormai sembra accreditata come la sua corte fissa, qualche dispettuccio lo ha messo a segno anche lui. Come definire altrimenti un incontro ove hanno partecipato solo 4 organizzazioni italiane all’indomani di una conferenza stampa nazionale per presentare una campagna contro l’omofobia alla quale hanno aderito decine e decine di sigle, di certo non meno significative di quelle ospitate a Palazzo Montecitorio? Il tema dell’incontro con Fini e della conferenza stampa precedente non era quello della lotta all’omofobia e del sostegno lobbistico alla proposta di legge Concia-Bernardini-Beltrandi ed altri che giace in Commissione? Come non definire dispettuccio (questa volta contro se stessi) quello di accettare senza batter ciglio di poter parlare con il Presidente Fini solo di certi argomenti e non di altri? Come non definire dispettuccio quello di inventarsi il ridicolo argomento che l’Associazione radicale certi diritti è una organizzazione di partito per giustificare la sua assenza dalla delegazione?

Al netto, quindi, dei dispettucci che un tale episodio ha messo in luce, rimangono sul campo le due sfide, entrambe di un certo rilievo: ce la farà Fini a rappresentare un centro destra meno omofobo portando a casa qualche risultato concreto e non solo pacche sulle spalle? Ce la farà Mancuso a scrostare definitivamente da dosso all’ArciGay il collateralismo a sinistra dei due decenni passati, magari anche lavorando su quei tratti “dispettosi” della sua leadership (sua di Mancuso non dell’organizzazione che rappresenta)?

Nessuno se ne abbia a male se dico che la sfida certamente più significativa per le persone omosessuali e transessuali in questo Paese è quelal di Fini.

Su Mancuso aggiungerei un altro pensiero: io credo tutt’ora al messaggio che il Fuori! lanciò nel lontano 1974 scegliendo di federarsi al PR e chiedendo a tutti coloro che non condividevano questa scelta di entrare nei partiti perché solo cambiandoli da dentro (la loro cultura, le loro scelte politiche) nel nostro paese ci sarebbe stata una vera uguaglianza per le persone omosessuali e transessuali. I movimenti indipendenti dai partiti in Italia hanno sempre avuto vita molto breve ed affannata. Il modello che in Italia va alla grande è quello corporativo e collateralista, basta guardare alla storia delle organizzazioni sindacali e dei movimenti giovanili per capirlo. Mancuso dichiara ad ogni piè sospinto che il tempo del collateralismo è finito: stiamo entrando in quello del corporativismo?

Enzo Cucco

PS per gli amici delle associazioni GayLib, Agedo, Famiglie Arcobaleno: tutte le volte che vi sento parlare in pubblico sottolineate la necessità di unità del movimento. Perché non ricordarsi di queste belle frasi anche quando l’ArciGay vi invita ad incontri istituzionali con il Presidente della Camera?