venerdì 16 marzo 2018

16 marzo 1978










Qualche giorno fa ho visto un annuncio che chiedeva “dove eri quando hanno sequestrato Aldo Moro?”. Ho pensato fosse una pubblicità relativa a qualche inserto o libro sui 40 anni del sequestro e delle uccisioni, e me ne sono subito scordato. Ma, come la madeleine inzuppata nel thè, improvvisamente mi sono reso conto che quel giorno, quei giorni, sono stati importanti per il sottoscritto.

Era un giovedì, se non sbaglio, ed all’uscita di scuola (ITIS L.Casale di Torino) non parlavamo che di quello: da un paio di anni facevo politica attiva, sia col Partito Radicale che con il Fuori! Ed ero anche delegato studentesco eletto nel Consiglio di Istituto (con una simpatica storia sulla mia omosessualità – già nota all’epoca – che  racconterò un’altra volta) quindi attento alle questioni politiche, come  lo poteva essere un giovane radicale di quegli anni. Noi, per esempio, eravamo acerrimi denunciatori del sistema (uso un linguaggio contemporaneo, allora si diceva “regime”): certo sarebbe sbagliatissimo guardare a quello che accadde con gli occhi dell’oggi, ma da subito, pur essendo denunciatori di quel regime e dei suoi sacerdoti (Moro ne era uno dei principali, prima del compromesso storico, con i suoi governi di centro sinistra “dell’attenzione”) chiedemmo a gran voce di trattare con i brigatisti, con Marco Pannella ed il PR in prima fila. Denunciando la sporca sponda che quasi tutti i media nazionali fornivano al partito della cosiddetta fermezza, anche sminuendo e denigrando il Moro sequestrato e scrivente.  Ma questo accadde nelle ore successive, mentre in quel giorno ero con Nadia Beltramo, carissima amica di quel tempo, che proprio allora cominciò a parlarmi di una lunga e straziante storia d’amore che stava vivendo. Una storia d’amore fatta di passione, politica, sesso, qualche droga, come usava allora (ed ancora oggi). Una storia d’amore che lei viveva con trasporto e assoluta disponibilità, e che mi raccontava minuto per minuto. A cominciare da quel giorno, tanto che i ricordi, indelebilmente, associano quel tragico fatto della politica nazionale ai tormenti di Nadia.

Il groviglio non finisce qui: ho già detto che ero un giovane attivista, sia radicale che del Fuori!. Ed il Furori! tenne il 2 Congresso del Fuori! Donna dal 22 al 25 aprile nella sede torinese, e dal 19 al 25 giugno si celebrò il 6 Congresso nazionale dell’organizzazione al Cinema Artisti. In mezzo c’è l’uccisione di Moro (avvenuta il 9 maggio) in una situazione di controllo e sostanziale coprifuoco di alcune zone delle città. Noi di Torino avevano la sede in via Garibaldi 13, molto vicino all’allora sede della Procura e del Tribunale, che in quei giorni furono piantonate come in tempo di guerra, blindando tutte le zone limitrofe.
Congressi (quello del Fuori! Donna e quello del Fuori!) che visti con gli occhi di oggi sono davvero storici: il titolo, innanzitutto, di quello del Fuori! era “Liberazione omosessuale e diritti civili”: per la prima volta associavamo le due cose e si cominciava ad abbozzare una strategia sui diritti, tanto che il Congresso non solo fu snobbato da molti militanti ed attiviste, ma apertamente contestato da coloro che avevano in mente un altro movimento, distante e molto (si direbbe oggi) identitario. Cosa che oggi (menomale) è patrimonio comune e si è sciolta la incomprensibile differenza tra un tipo di agire politico ed un altro. Si parlò anche per la prima volta di lavoro, di salute, di casa, di affettività: tutti temi che nella storia del movimento di liberazione sono stati ripresi e sono stati oggetto di iniziative e di ricerche. Quel Congresso ha segnato un passaggio fondamentale verso la concretezza dell’azione politica di quello che allora era il movimento più importante in Italia. E non a caso nacque in quell’agosto a Coventry l’IGA, la mamma dell’attuale ILGA: atto di nascita che ci vide protagonisti anche negli incontri e nei contatti che lo precedettero (esattamente nel periodo del sequestro Moro).

Furono anche i giorni della 1° Rassegna del Cinema omosessuale (così si chiamava allora) che curò per noi Riccardo Giurina e che vide partecipi Barbera, Casazza, Rondolino …. Tutti nomi che ai cinefili torinesi (e non solo) dicono qualcosa. E furono i giorni di apertura della prima esperienza di discoteca gestita direttamente dal Fuori! (anche quell’esperienza contestata dai rappresentanti di altri movimenti).

In tutto questo Nadia mi seguiva: venne addirittura al Congresso del Cinema Artisti per sentirmi parlare (prima volta in pubblico). E lo faceva raccontandomi le sue storie ed ascoltando le mie inquietudini.

Come potete leggere ciascuno di questi avvenimenti meriterebbe un approfondimento a se, anche per mettere in evidenza i legami, spesso sotterranei, che li legano. Intendiamoci: nessuno legame diretto con il sequestro e la morte di Moro, della sua scorta e il Fuori!. Ma si può fare storia a pezzi stagni, senza domandarsi se il contesto entro il quale si sviluppava una esperienza aveva conseguenze? Si può raccontare la propria storia personale senza ricordare quelle persone che sono state significative per noi? Si può evitare di calcolare quanto pesò la tradizione non violenta e libertaria, in una parola radicale, nell’evoluzione del Fuori!?

Non credo. E vorrei possedere le parole giuste per ricordare: quei giorni, quelle persone, quello che accadde e quello in cui credevamo.

Enzo Cucco
15 marzo 2018
http://gayindependent.blogspot.it/

domenica 4 marzo 2018

MAI DIRE GAY

Oggi 4 marzo 2018 Robinson (inserto settimanale de la Repubblica) riporta un lungo colloquio tra Nicola Lagioia (scrittore e direttore del Salone del Libro) e Luca Guadagnino (regista). Appena sarà possibile lo vorrei postare perché credo debba essere letto. Sempre stanotte, come saprete, assegnano gli Oscar e “Chiamami col tuo nome” concorre per 4 statuette. Faccio tutti gli auguri al film (purtroppo il regista non è tra i candidati) perchè si merita un riconoscimento, e dico subito che apprezzo tantissimo Lagioia, sia lo scrittore che il direttore del Salone del Libro. Ma .....
In tutto il lungo e molto interessante dialogo non si usa mai la parola GAY e nemmeno si fa riferimento, anche indiriretto, al tema. Già li sento i critici che alzano le spalle, sorridono, straparlano di provincialismo e fissazione gay, ed a nulla valgono le considerazioni che il tema, ovvero l’amore senza lieto fine tra un adolescente e un giovane uomo, è uno, non l’unico ovviamente, tra gli elementi che hanno portato al successo questo film. Uno, non l’unico: lo ripeto per non essere frainteso. Ma uno tra gli altri non significa affatto dimenticarlo quando se ne parla. Colpa del redattore che ha tagliato delle parti? Possibile. Ma ricordo anche la strana ostinazione del regista a bollare questo film come “NON GAY” o “NON SOLO GAY”. Senza riflettere nemmeno un secondo che questa tigna nel voler oscurare questo aspetto dell’opera sia, in negativo, una prova del fastidio che si prova tutte le volte che si associa il film a queste tematiche. Ho già detto che se si tratta di una scelta di marketing puzza di vecchio lontano un miglio. E l’autore (e tutta la compagnia, almeno sui media italiani) hanno reso impossibile l’unica cosa per la quale loro avrebbero dato il sangue (scommetto): considerare l’amore gay come amore e basta. Perchè non ci vuol molto a capire che negare l’evidenza la enfatizza soltanto. Bastava una comunicazione un pò più moderna, per evitare che ci si intestardisse su questo tema. O i volponi del marketing e della comunicazione dietro al film speravano proprio in questo, ovvero speravano che frotte di gay inferociti invadessero i media con commenti piccati?
Non so, e francamente non me ne importa molto. E’ un bel film, gestito male dal punto di vista della comunicazione. Ed è un bell’articolo sugli anni ‘80 in Italia: peccato che le citazioni fatte siano molto istituzionali, e si dimenticano, tra gli altri, personaggi come Tondelli, o cosa capitò in città come Torino, Roma, Firenze, Bologna sul tema “gay” che finì su tutte le prime pagine, animando, e non poco, quegli anni ‘80 lì. Si, si, anche in questo caso diranno “ma è ovvio”, ma “io conoscevo Tondelli”, ecc. ecc. Peccato che nulla di tutto questo sia scritto nell’intervista, dando una immagine perlomeno parziale di quegli anni, del film e, forse anche del romanzo. Peccato.
Enzo Cucco
4 marzo 2018