domenica 12 aprile 2020



Dieci anni fa, in questi giorni, festeggiavamo una decisione della Corte costituzionale che ha dello storico: si tratta della sentenza numero 138, assunta il 14 aprile e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 21 dello stesso mese. Con quella sentenza si otteneva il più grande riconoscimento giuridico dei diritti e dei doveri delle persone omosessuali mai raggiunto in Italia prima della Legge sulle Unioni civili. Si, perchè di questo stiamo parlando: complice il fatto che a parte le norme relative al servizio militare (cancellate grazie alla decisione di de-patologizzare il comportamento omosessuale da parte dell’OMS) e lasciando da parte tutte le vicende relative alla Legge 40/2014 (a parte ma non meno significative) in Italia non esisteva alcuna norma che rendeva legale la discriminazione nei confronti delle persone omosessuali, lasciando quindi la distanza tra diritti formali e diritti sostanziali amplissima e tutta da colmare. Quella sentenza fu il primo prodotto di una campagna che abbiamo definito di Affermazione civile, per la quale ci fu l’incontro di una fortunata intuizione di Francesco Bilotta (che era anche frutto di studi seri ed approfonditi) con una associazione nata da poco, l’Associazione radicale Certi Diritti, e soprattutto le coppie che offrirono, con grande lungimiranza e generosità, la propria visibilità ed anche i propri soldi, per avviare questa nuova strategia.
Non dobbiamo dimenticare che Francesco (che non a caso giusto nel 2007 insieme ad altri ed altre fece nascere Rete Lenford), le coppie e l’Associazione radicale certi diritti (nata nello stesso 2007) ma anche centinaia di migliaia di persone in Italia, erano reduci della grandissima frustrazione generata da un Parlamento, e da un Governo (il Prodi 2, durato dal maggio 2006 al gennaio 2008) incapaci di legiferare su questo argomento. Il gioco del compromesso al ribasso produsse veri e propri aborti legislativi (vi ricordate vero quelle autentiche schifezze che erano prima i Dico e poi i Didorè, ed altre fantasione quanto insultanti proposte ...) che meno male il Parlamento non esaminò mai. La strategia fino ad allora perseguita da alcuni Gruppi lgbt, sostanzialmente basata sulle possibilità offerte da un parlamento a maggioranza di centro sinistra, si rivelò infondata. Intendiamoci, con l’occhio di adesso dobbiamo riconoscere, e dire ad alta voce, che fu un errore parziale, che si basava su una realtà, l’arretratezza di sinistra su questi temi, francamente non così preventivabile da Arcigay. Anche se c’erano stati molti segnali in tal senso. Ma fu errata la strategia (basarsi unicamente sulla volontà della maggioranza di sinistra del Parlamento) non l’obiettivo che è sempre stato lo stesso per tutti e tutte: il riconoscimento del matrimonio civile tra persone dello stesso sesso.
La strategia di Affermazione Civile, inoltre, si basava (anzi si basa) su una storia piena di precedenti ove l’acquisizione di nuovi diritti in Italia si è avuta grazie al pronunciamento delle Corti, sia in anticipo alle decisioni del Parlamento sia registrando un cambiamento sociale profondo e già avvenuto. Io ricordo solo le classiche battaglie per l’obiezione di coscienza, per la legalizzazione di divorzio e aborto, l’abolizione dei manicomi, per il riconoscimento della violenza sulle donne, tutte precedute da sentenze importanti della Corte Costituzionale che, a volte ribaltando sue stesse decisioni, hanno innescato quei meccanismi istituzionali che hanno prodotto le leggi che conosciamo (con i pregi e i difetti delle stesse).
Da questa storia nacque il fidanzamento tra Certi Diritti, Bilotta (poi Rete Lenford) e le coppie fino alla sentenza citata, trasformatosi poi in una separazione (questa è un’altra storia ..... ) e nella moltiplicazione delle associazioni, degli avvocati e delle coppie che questa strategia hanno perseguito: la nostra Associazione era, nel panorama politico omosessuale, l’unica che, vivendo anche della tradizione radicale, aveva nel suo DNA il ricorso alle Corti per il riconoscimento di diritti negati. Fino ad allora avevamo conosciuto queste cause come “disobbedienza civile”, ed in questa definizione c’era anche la visione di un Ordinamento giuridico che non riconosceva ancora diritti (e doveri) che erano già maturi da tempo nella società. Affermazione civile, invece, è stata una campagna che è partita da un assunto diverso, che semplifico così: i diritti delle persone omosessuali e transessuali non sono solo una novità giuridica ma, sulla base della normativa vigente (quella italiana e quella europea) già reali. Si trattava di renderli sostanziali.
Tutto questo seguendo un filo logico mai riconosciuto dalla maggioranza di quello che chiamiamo oggi Movimento lgbti, iniziato dal Congresso del Fuori! del 1978 dove per la prima volta si parlò di Diritti Civili e si inauguro una stagione che parlando di obiettivi concreti si poneva proprio questo obiettivo: il passaggio da un diritto di principio a un diritto sostanziale per le persone omosessuali e transessuali.
Tranquilli, non sto rivendicando alcuna paternità o maternità per quello che è successo dopo, sarebbe sciocco anche solo il pensarlo. Ma è innegabile che c’era qualcuno che a questi diritti ci pensava e provava a fare iniziative. Vedasi il Congresso, sempre del Fuori!, nel 1980 dove si approfondì il tema delle unioni civili e del matrimonio. O al caso di Doriano Galli del 1981, ricordato da pochi.
L’intuizione che sta alla base di questa strategia è proprio questa: applicare questo metodo anche alla questione dei diritti delle persone omosessuali e transessuali, perché di diritti (e di doveri) stiamo parlando. Con un particolare importante rappresentato dalle novità prodotte dal diritto comunitario.
La strategia aveva tutte le condizioni per essere condotta: chi faceva questa scelta in prima persona (le coppie), chi ci ha messo la propria competenza giuridica (innanzitutto Francesco e poi tanti e tante altre avvocate italiane) chi ci ha messo la propria riflessione politica ed un rinnovato attivismo (ho già ricordato l’Associazione radicale Certi Diritti ma anche Famiglie Arcobaleno in questi anni ha sostenuto e promosso numerose cause pilota e famiglie). Vorrei ricordare il grande lavoro fatto da Sergio Rovasio, primo segretario dell’Associazione radicale Certi Diritti, Clara Comelli (che fu Presidente) e Gian Mario Felicetti (referente per qualche tempo di quella Campagna). Ma voglio ricordare tutte le altre coppie, avvocati e avvocate che ci misero la faccia, impegno e soldi che hanno prodotto quanto in 10 anni siamo riusciti a produrre.
Mancava l’ultimo elemento, quello delle decisioni che le Corti avrebbero assunto. Da subito chiunque ha messo in atto questa strategia sapeva che questo era l’elemento principale che avrebbe dovuto accellerare o rallentare il riconoscimento di questi diritti e doveri, al netto delle diverse posizioni di strategia che ci sono state. Lo sapevamo e lo sappiamo, consapevoli del fatto che la stessa sentenza 138 (soprattutto alcune capziose interpretazioni che sono circolate) erano parzialmente utili per raggiungere questo obiettivo. Parlo innanzitutto della linea seguita dalle Corti di non affrontare la questione dal punto di vista dell’uguaglianza, e della palese discriminazione che certi comportamenti producevano, ma da quello del diritto familiare (diritti e doveri inclusi) lasciato alla discrezione dei Parlamenti (come se il diritto al matrimonio non fosse un diritto fondamentale, e quindi inalienabile). E producendo indirettamente una legislazione strabica, e profondamente ingiusta, dove dalle Unioni (oggettivamente una grande quantità di diritti e doveri riconosciuti) si eliminavano diritti e doveri relativi a figli e figlie.
Su questo possiamo farci poco, se non quanto si può lavorare a livello culturale (la sentenza 138 ne è stato un formidabile esempio) perchè cambi l’approccio della magistratura alla questione.
Ma quanto abbiamo prodotto?
Non ho alcun dubbio nel rivendicare (direttamente o indirettamente) a quella campagna il merito delle uniche conquiste che il Movimento ha fatto in questi anni: innanzitutto la Legge sulle Unioni Civili che, al netto di tutte le polemiche che ne hanno segnato la nascita, non sarebbe mai stata possibile in Italia senza quella sentenza ed anche l’altra, quella della Corte Europea dei Diritti Umani nel 2011 che condannò l’Italia al pagamento di una penale alle coppie ricorrenti. Ma vorrei anche ricordare le altre sentenze (prima della Corte di Cassazione e poi della Corte costituzionale) che interpretando la Legge 164 del 1982, sancirono che il ricorso agli interventi chirurgici era non necessario per l’ottenimento del cambio di sesso e di nome sui documenti. Persino i piccolissimi passi avanti sui diritti dei figli e delle figlie che nascono e vivono in una famiglia composta da persone dello stesso sesso, sono figli di sentenze lungimiranti. Anche se dobbiamo registrare quanto infausta fu la Legge sulle Unioni Civili da questo punto di vista: infausta perché non ha normato questa situazione lasciando nel limbo decine di migliaia di ragazzi e ragazze (alcuni oggi diventati uomini e donne). E non sono affatto da sottovalutare la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia che riconobbe il diritto al permesso di soggiorno del partner extracomunitario, a quella della Cassazione dove si riconobbe il diritto a una vita familiare per le coppie dello stesso sesso. Vorrei anche ricordare il grande sforzo politico, e culturale, fatto dalla proposta “Amore Civile” prodotto da Francesco Bilotta, Bruno De Filippis, sostenuto e fatto proprio dall’Associazione radicale Certi Diritti e presentata in Parlamento da Rita Bernardini nel 2010. Ad oggi quello rimane l’unico tentativo (perfettibile, certo ....) di riforma complessiva del diritto di famiglia italiano, improntato alla difesa dei diritti e dei doveri dei singoli.
Futuro di questa strategia? Poco e delimitato se guardo alla magistratura. Tanto invece se osservo il Parlamento, che è come se si fosse addormentato sugli allori (tutti meritati, è bene chiarirlo) della Legge sulle Unioni Civili, non vedendo io alcuna reale vol0ntà politica per raggiungere quegli obiettivi di uguaglianza che ancora sono da raggiungere. In questo senso, purtroppo, prima della pandemia coronavirus la campagna per una Legge italiana contro omo e transfobia (lasciamo perdere i limiti sia del dibattito che le proposte in campo) aveva il sapore di un ripiego rispetto a questi obiettivi, che si son dati per scontati e irraggiungibili. Non sto affermando che una tale Legge sia inutile, anzi, ma senza entrare nel merito della sostanza della norma possibile e della sua efficacia, questo pericolo esiste.
Ora con la pandemia tutto è cambiato. E tutto cambierà, compresa questa strategia. Forse converrebbe cominciare a rifletterci.

Enzo Cucco Tosco
12 aprile 2020
https://gayindependent.blogspot.com

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