Scrivo queste righe a ridosso dell’ennesimo scandalo di un Parlamento che fa finta di non vedere e non sentire come la società italiana sia cambiata, rigettando una proposta di legge, davvero minima, contro l’omofobia, per tentare di ragionare sui fatti e costruire una iniziativa radicale su questi temi.
Non spreco ulteriori parole in merito a quanto accaduto alla Camera di ieri perché, come al solito, Ainis sul Corriere della Sera del 27 luglio 2011 ha detto sinteticamente tutto quello che davvero è necessario dire. Ma sulla sostanza della materia invece è utile fare qualche riflessione aggiuntiva, perché lo stop di ieri possa diventare una opportunità per riflettere e costruire iniziative fondate nel merito e non solo tentate sulla base di tattiche parlamentari che, ahimè, hanno efficacia pari a zero.
Dico subito che i termini omofobia e sessuofobia non mi entusiasmano: la radice “fobica” di comportamenti di disprezzo, che provocano discriminazione e a volte anche atti violenti, è tutta da dimostrare, e secondo me ridurre tutti questi comportamenti a fobia, ovvero a una fattispecie medico-psichiatrica del nostro agire, confina nella patologia comportamenti che invece sono dannatamente normali. Voglio dire che non nego che questi comportamenti possano avere radici psicologiche (e non solo) ma la cultura ottocentesca e positivista che sta dietro questo tipo di classificazioni non è più sufficiente per spiegare la sessualità che viviamo alla luce di tutto quello che sappiamo dopo decenni di ricerca evoluzionista e neurobiologica. In altri termini, e molto semplificando, la felice intuizione della Arendt sulla “banalità del male” è applicabile anche a questa fattispecie, e non possiamo ridurre la complessità di questi fenomeni ad una risposta (quella penale) che risolve poco o nulla.
So anche che le ferree leggi della semplificazione linguistica in politica e in comunicazione sono ben più forti dei miei purismi, e quindi uso, con i limiti del caso, i due termini cercando di spiegare perché, dato il contesto, è meglio orientarsi sulla lotta contro la sessuofobia, piuttosto che sulla “sola” omofobia.
Tutti noi siamo consapevoli (credo anche i proponenti del pdl alla Camera e molti dei leader del movimento lgbt italiano) che agire solo sulla leva penale è insufficiente e forse anche un pò pericoloso in un paese come l’Italia dove la materia penale è trattata come è trattata. La realtà dei paesi dove queste norme già esistono (anche se in contesti giuridico-sociali differenti) sta lì a dimostrare che reprimere senza comprendere e prevenire non basta.
Vorrei però fare un passo in più e verificare se tutti siamo ugualmente consapevoli che il nostro Paese non sta per nulla vivendo un periodo di particolare recrudescenza di atti omofobici: non abbiamo dati su cui riflettere (né noi né quelli che sostengono il contrario, si badi bene, perché i numeri che circolano non resisterebbero al vaglio di uno studente del primo anno di statistica) ma la comparazione con la realtà europea e l’esperienza (che non ci manca) stanno lì a certificare che oggi vediamo di più gli atti omofobici perché i media li segnalano di più e perché più persone omosessuali denunciano cose che fino a poco tempo fa rimaneva nel privato vergognosamente nascosto della propria esistenza.
Quello che invece è certificato, non dai numeri ma dagli atti politici e dalle dichiarazioni stampa, è che la cultura sessuofoba così definita negli anni ’60 e ’70, è tornata di moda (uso consapevolmente questo termine) e non solo tra la classe politica succube di uno dei tanti vaticani del mondo, ma tra i media e tra la gente. Spero non si faccia l’errore di considerare le dichiarazioni di Buttiglione come l’ultimo rantolo di una cultura perdente ma, propriamente, come il vagito di una vecchia e rinnovata cultura della mortificazione della vita consapevole, e dell’amore responsabile, che torna vincente nelle parole del Ratzinger teologo e papa.
Io credo che per provare a costruire una iniziativa radicale su questi temi, ovvero una iniziativa che guardi con occhi liberali e libertari alla vita ed alla sessualità, si debba fare lo sforzo di uscire dai particolarismi e ricondurre la complessità che abbiamo di fronte innanzitutto ad una consapevolezza, che è quella che ci troviamo di fronte ad una battaglia culturale, quindi sociale e politica, prima ancora che penale e legislativa.
Questo significa che le singole iniziative che si possono (e devono) intraprendere, sono da mantenere saldamente collegate al quadro complessivo di lotta alla sessuofobia in tutte le sue molteplici forme, vecchie o nuove che siano.
Bisogna, forse, avere il coraggio di abbandonare la richiesta del riconoscimento degli atti omofobici come aggravante di una norma penale “aggravata” ormai da una miriade di orpelli, per lavorare decisamente sul concetto di “reati di odio”, che è la direzione su cui tutta Europa sta lavorando, anche superando un pregiudizio tutto radicale che porta a confondere i reati d’odio con i reati di opinione. Non è vero che il confine tra questi due reati non esiste, come vogliono far credere i buttiglioniani d’ogni sorta, e dobbiamo offrire il nostro contributo affinché si raggiunga una proposta trasparente ed efficace su questo terreno. Se questo tema debba esser trattato ampliando la Legge Mancino o no, è cosa su cui si può discutere, ma è necessario che diventi consapevolezza comune che nelle società complesse in cui noi viviamo, dove la comunicazione non è solo esercizio di libertà ma anche strumento di manipolazione e censura, questo confine debba essere tracciato, e siano perseguiti quegli atti (anche le parole sono atti) che hanno diretta conseguenza discriminatoria e violenta.
E dobbiamo anche trovare il modo di andare avanti su altri fronti, come quello della legalizzazione della prostituzione, dell’educazione sessuale nelle scuole elementari e medie inferiori (oltre è inutile), della legalizzazione dei rapporti sessuali tra detenuti e loro conviventi, della promozione di una comunicazione non sessuofoba (l’iniziativa di Emma Bonino dell’Osservatorio sull’immagine della donna in RAI va in questa direzione). Senza dimenticare l’importante progetto di riforma del diritto di famiglia già presentato in Parlamento.
Le singole iniziative non ci mancano, e sempre di più ne avremo viste le scelte che l’ultimo Congresso dell’Associazione radicale certi Diritti ha fatto e il grande lavoro che tanti altri soggetti radicali, magari per vie traverse, stanno facendo. Quello che ci manca è un modo per rappresentarle agli altri, una cornice unica, magari una Conferenza dove chiamiamo tutti coloro che potenzialmente sono d’accordo sule nostre tesi e possono diventare sostenitori delle nostre iniziative. Per tornare ad essere riconosciuti come uno dei motori delle riforme in Italia in questo ambito, non solo per il nostro passato ma anche per il futuro nuovo che sappiamo progettare e costruire.
Ed anche per utilizzare la possibilità che si scelga la strada della raccolta di firme su proposte di legge di iniziativa popolare per presentare ad un più vasto pubblico le nostre proposte che abbiamo già presentato o stiamo per presentare in parlamento. Inutile sul piano parlamentare, ma buona occasione per farci conoscere per strada.
Lo slogan lo abbiamo già, è quello della campagna elettorale del 1976 “la tua vita sessuale è solo tua, liberala!”
Enzo Cucco
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