lunedì 16 dicembre 2019

OMOTRANSFOBIA? NO GRAZIE.



Recentemente la Ministra per le Pari Opportunità ha annunciato che il Governo farà una sua proposta contro l’omotransfobia, e sia il PD che il M5S hanno organizzato ed organizzeranno iniziative sul tema, anche per sostenere le proprie proposte di legge. Tutto bene, e son contento che si moltiplichino queste iniziative segno che, forse, è la volta buona. 

Sarebbe facile però il gioco del “ce l’ho, manca” sui progetti presentati (ve lo ricordate quando si era bambini e ci confrontavamo sulle figurine possedute ….?). Si deve invece essere consapevoli che abbiamo non solo il diritto ma il dovere di chiedere una Legge efficace non solo una Legge manifesto. A prescindere dalle proposte di partenza.

Quindi faccio qualche considerazione senza tener conto delle proposte presentate non per valutare quelle presentate (o di coloro che non l’hanno presentata) ma le avanzo con la consapevolezza che in questa fase non vale la frase “tanto non passa….” perché non siamo noi, e non adesso, che possiamo dire questa cosa. I compromessi, che ci saranno, sono in capo a coloro che approveranno un testo ed alla loro capacità di pensare al futuro non alle medagliette da mettersi sul bavero della giacca. In questo senso l’iter sulla Legge per le Unioni Civili ci può insegnare molte cose, a condizione che si capisca la profonda differenza che esiste tra loro: quella prevedeva un istituto del tutto sconosciuto al nostro ordinamento giuridico, questa no. E se avrete la pazienza di leggere fino in fondo questa nota provo a spiegarmi.

Omotransfobia?

Devo confessare il mio personale imbarazzo verso tutte le parole composte che contengono il termine “fobia”: è una parola di ascendenza sanitaria, anche se utilizzata nel linguaggio comune odierno, soprattutto per definire la persistenza nel tempo e l’insistenza di un certo comportamento. Ma siamo sicuri che l’avversione contro l’omosessualità maschile e femminile e contro la transessualità sia sempre figlia di una fobia? Non è il tentativo distorto per spiegare un fenomeno le cui radici sono perlomeno molteplici e non riducibili ad una sola causa? La misoginia cosa è oggi? La xenofobia cosa è oggi? E soprattutto possiamo trasferire questo concetto nel linguaggio/tecnica giuridica italiane? Non voglio sollevare questioni troppo filosofiche o sociologiche ma questo tema dobbiamo affrontarlo anche per indirizzare i magistrati che dovranno applicare la norma.
Alle parole “omofobia” o “transfobia” da inserire in una legge io preferisco le parole “discriminazione per orientamento sessuale, identità ed espressione di genere”. Credo infatti che sia molto difficile tracciare il confine tra libertà di espressione e fobia per un giudice od un rappresentante delle forze di polizia che debba applicare la nuova norma, senza una adeguata formazione, laddove si faccia riferimento all’omotransfobia. Il termine “discriminazione” invece ha basi giuridiche più salde, essendo fondato sulla normativa europea (TFEU, Carta dei Diritti Fondamentali, Direttive UE e sentenze dell’Alta Corte) ed internazionali, oltre che costituzionali ovviamente. Sottolineo in particolare la necessità di distinguere e mettere in evidenza sia l’ identità che l’espressione di genere, e l’insufficienza di considerare “solo” l’identità di genere. Mi rendo conto che per un giornalista (e per chi legge) sia più facile un solo termine. Ma semplificare e riassumere non è sempre positivo: ci ricordiamo la battaglia infinita (tutt’ora in corso) per chiamare i Pride senza aggiungere la parole Gay? Ed il suo significato?


L’illusione penale

La rimozione dei fenomeni sociali che chiamiamo “omofobia” e “transfobia” non è delegabile alla norma penale. Anzi essa deve essere presa in considerazione soltanto nei casi estremi, in stretta relazione con specifici reati, essendo questione che fonda le sue radici nell’ignoranza, nel pregiudizio, nella cultura, nei comportamenti e nelle tradizioni sociali e religiose che sono modificabili sul medio e lungo periodo solo attraverso più interventi. Sembra essere una contraddizione ma non è così: l’atteggiamento antiomosessuale e antitransessuale può convivere benissimo non solo con quello che normalmente consideriamo cultura ma anche con le diverse tradizioni di provenienza. Insisto: senza la consapevolezza che siamo di fronte ad un fenomeno multifattoriale, strettamente legato all’evoluzione storica delle società e degli stati, penseremmo a soluzioni parziali (se va bene) e quindi inutili per i nostri scopi.
Esiste un esempio super noto, quello della lotta alla violenza di genere: ricorderete che la proposta iniziale di qualche tempo fa conteneva solo un inasprimento delle norme penali, mentre in corso d’opera, anche grazie alle operatrici, all’associazionismo ed agli enti locali che si sono espressi, ha partorito l’idea che alla riforma delle norme penali sia affiancato un Pianovero e proprio, adeguatamente finanziato, completo di azioni di ascolto, accoglienza, assistenza, studio, formazione e aggiornamento. Che significa mettere mano ai servizi. Altro esempio può essere considerato la Strategia lgbti del Consiglio d’Europa, costruita su obiettivi, mezzi, tempi di realizzazione e attività di verifica. Non credo di dire qualcosa di straordinariamente nuovo, ma a leggere le proposte presentate il dubbio mi nasce. Del resto la storia, anche recente, ci dice che la sola norma penale non ha alcun effetto preventivo. E faccio un solo esempio: la Legge Mancino è stata approvata nel 1993. Qualcuno può affermare senza vergognarsi che è stata una buona pratica per combattere la xenofobia e l’antisemitismo? Il problema non è sempre stato quello di una magistratura che ha fatto fatica ad applicare la norma? Vuoi per non averla riconosciuta come applicabile (e ci sono sentenze incredibili al riguardo) vuoi per essersi dimenticati bellamente dell’obbligatorietà dell’azione penale, invocando l’una o l’altra norma sulla base della propria sensibilità. 
Tutte le iniziative pubbliche e generaliste contro questo tipo di discriminazioni (Giornata Nazionale, Campagne nazionali, Campagne mirate a target specifici come scuola, sport, pubblica amministrazione, forze di polizia e magistratura, giornalisti, ecc.) possono essere utili per lottare contro questi comportamenti, solo se adeguatamente finanziate e reiterate negli anni. 
Ci tengo a sottolineare l’importanza dell’apertura delle nostre scuole alla lotta alle discriminazioni (comma 16 art. 1 Legge 107/2015) e l’aumento considerevole delle difficoltà per trattarlo questo tema: la parola “genere” spaventa molto e impedisce alle iniziative che si richiamano a questo concetto di realizzarsi. Che prevenzione lo Stato può effettivamente realizzare se la scuola gli è preclusa? Di cosa stiamo parlando se si continua con il drammatico errore di considerare diverse opinioni e conoscenze scientifiche sullo stesso piano? Lasciando ai singoli genitori la facoltà di considerare le opinioni esistenti sull’omosessualità come tutte fondate e rispettabili. Un pò come sui vaccini ……
Vorrei inoltre rimarcare la necessità che tutte le iniziative (ma tutte tutte) siano valutate e non solo un impegno formale ad effettuarle. Per esempio affidandola a soggetti esterni alla realizzazione delle azioni, con comprovata esperienza e competenza: valutare l’efficacia delle politiche sociali (l’efficacia non l’efficienza) è molto difficile, ma non impossibile.

Aggravante

Come sapete da quando è entrato in vigore il Decreto legislativo n. 21 del 2018 se si vuole operare sulla materia penale si deve modificare direttamente il codice.
Ricordati i limiti che l’inasprimento di questa norma comporta (soprattutto se sola) non possiamo non notare che inserire una nuova fattispecie di reato sia un passo davvero notevole per il nostro ordinamento, spingendolo sempre più verso un modello più anglofono di riconoscimento dei crimini d’odio in quanto tali. Ma è quello che serve davvero? I reati nel nostro ordinamento, lo ricordiamo, sono tantissimi e solo in casi ben circoscritti se ne specifica il motivo, che viene valutato col gioco delle aggravanti e delle attenuanti, quasi tutte applicate dai giudici facoltativamente. Cosa significa introdurne uno nuovo in presenza di una tale massa di reati fattuali, ovvero che si concentrano sul danno arrecato? Se una aggravante diventa obbligatoria, e peggio ancora se si introduce un nuovo reato, senza aver formato innanzitutto forze di polizia e magistratura a riconoscerli, attraverso una definizione chiara della stessa, non abbiamo per nulla risolto il problema. Anzi lo abbiamo ulteriormente complicato e creato gli stessi dubbi e colpevoli incertezze che hanno accompagnato la non applicazione della Legge Mancino. 
Non ho soluzioni immediate alla questione, almeno non ho soluzioni condivise, ma è bene ricordare che nel nostro sistema non esiste una definizione di crimine o di discorso di odio, se non quelle che derivano dalle leggi europee. O quelle che sono presenti in dottrina. I nostri codici non ne parlano affatto. E non sarebbe il caso di farlo? E soprattutto se la Legge si ridurrà solo a modificare il codice penale sarà inutile.
Ricordo che da tempo l’OSCAD (Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza) e l’UNAR (Presidenza del Consiglio, Dipartimento Pari Opportunità) stanno cercando con i loro strumenti, di spiegare cosa siano crimini e discorsi d’odio nella nostra società e come possono essere riconosciuti e applicati. Tempi lunghi, mi rendo conto, ma l’illusione di risolvere il problema delle discriminazioni per orientamento sessuale, identità ed espressione di genere è pernicioso. Queste attività devono essere potenziate e maggiormente diffuse, rendendole obbligatorie, questo si, nell’ambito dei corsi di base che questi enti possono organizzare, anche nei confronti della magistratura e non solo delle forze di polizia. Forse anche riorganizzate, ma questo è un altro tema. E se ci fosse questa indicazione specifica nella Legge sarebbe una cosa buona.
E poi: nessuno si è mai chiesto come mai in questi anni il sistema delle aggravanti non ha riconosciuto l’origine discriminatoria di taluni reati e li ha sanzionati (per esempio utilizzando i motivi “abietti” o “futili”, o aver agito con “crudeltà”)? Non è forse un problema culturale della nostra magistratura e delle nostre forze dell’ordine? (le eccezioni ci sono anche qui è sono meritorie, ma sono eccezioni).

La ricerca

L’argomento di chiunque sia contrario a trattare questo tema è che, in fondo, non esiste nessuna discriminazione contro le persone omosessuali e transessuali nel nostro Paese. Ed i casi registrati sono eccezioni. Non è così e dobbiamo provare questa affermazione non solo sulla base delle proprie sensibilità ma, possibilmente, sulla base di ricerche accurate. Per fare questo è necessario programmare una Ricerca periodica(ogni 2/3 anni) che dia un quadro della situazione in Italia, anche a paragone con i dati già esistenti, sia internazionali (OSCE-Odihr, Eurobarometro e FRA) sia italiani (ISTAT, ma anche Arcigay, le attività del Centro Risorse lgbti, il progetto VOX Diritti, la ricerca di Massimo Battaglio, ecc.). Son tutti dati molto diversi tra di loro ma utili per comprendere il fenomeno. E’ necessario che la Ricerca sia prevista dalla nuova norma per garantirne l’effettiva realizzazione. E sia garantito un adeguato finanziamento della stessa. Io preferisco studi che prendano in esame più potenziali forme di discriminazione: ci forniscono dati sulla società in generale o una parte di essa. Non mi stupirei, infatti, nello scoprire che anche in Italia i crimini di odio o i discorsi di odio maggiori siano rivolti ad altri gruppi di persone. 


Una Agenzia indipendente


E’ necessario che il Parlamento prenda in serio e urgente esame la nascita di un organismo indipendenteche si occupi dell’accoglienza, dell’orientamento e dell’assistenzalegalealle persone vittime di discriminazione (tutte). Non delle altre funzioni di politica attiva, che possono rimanere in capo ad organizzazioni pubbliche, ma di quelle specifiche affrontate per esempio, da agenzie attivate in altri Paesi europei. E che soprattutto sia un organismo rivolto a tutte le potenziali discriminazioni previste dall’ordinamento (quello europeo) e non solo per orientamento sessuale, identità ed espressione di genere. Il potenziale d’intervento che l’esistente Rete nazionale contro le Discriminazioni ha (che dipende da UNAR e quindi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri) è stato molto limitato per concorde (o quasi) volontà politica: almeno per queste tre funzioni il nodo si può sciogliere solo seguendo questa strada. E deve essere anche affrontato il tema di chi, a ragione del proprio orientamento sessuale o identità o espressione di genere, sia costretto a cambiare casa, spesso residenza, cercar lavoro, farsi curare: esistono figure ad hoc per questo tipo di questioni e non servono affatto servizi specializzati ma al contrario è possibile l’integrazione di questi temi nella rete dei servizi pubblici esistenti, adeguatamente formando le assistenti sociali, operatori ed operatrici dei servizi per l’impiego e personale della pubblica amministrazione dei comuni innanzitutto.

Misure alternative

Sono molto a favore di ogni tipologia di misure alternativealla detenzione con particolare riferimento all’inserimento in esperienze e associazioni che lottano contro le discriminazioni. La loro previsione in una Legge nazionale ne facilita e diffonde l’uso che, peraltro, è già nella disponibilità dei giudici. Le misure alternative sono utilissime per affrontare e risolvere alcune forme di discriminazione, quelle che si basano su ignoranza e pregiudizio (e sono diffusissime), ma di altre no, è bene ricordarlo (e ricordarcelo).



Ed infine una cosa ovvia, che però ricordare non fa mai male: le Commissioni di Camera e Senato avvieranno consultazioni formali quando ci sarà un testo condiviso, o quando lo riterranno utile: spero che non ci si dimentichi della Commissione per i Diritti Umani del Ministero per gli Affari Esteri, dell’UNAR e dell’OSCAD, oltre che dell’associazionismo attivo sulla materia. Magari della FRA e dell’ISTAT. E che soprattutto i Deputati e i Senatori tengano conto delle loro parole. Poi facciano quello che riescono a fare, nell’interesse del Paese e non solo nell’interesse del proprio partito.

Enzo Cucco
15 dicembre 2019 
http://gayindependent.blogspot.com

lunedì 25 febbraio 2019



Oggi che è morta Marella Caracciolo Agnelli mi piace ricordare una cosa, piccola piccola. Era la seconda metà degli anni '80 e tutti noi eravamo angosciati e impegnati sull'emergenza Aids. Cominciavamo ad assistere le prime persone con Aids e uno di loro (ci teneva alla privacy...) era impiegato FIAT e l'azienda gli comunicò che aveva finito la mutua. Era disperato e le aveva tentate tutte (noi con lui) ed insieme ad Angelo Pezzanaandammo da Marella Agnelli per spiegarle la situazione e chiedere il suo personale intervento. Grazie all'interessamento di Aldo Ratti (anche su di lui si dovrebbe scrivere qualcosa per ricordarlo) fummo subito ricevuti nella sua casa in collina qui a Torino. Fu un incontro molto positivo: lei era appena stata nominata nel direttivo dell'AMFAR, le benemerita fondazione che ebbe Liz Taylor come attivista e presidente per anni, e quindi da subito il nostro colloquio fu a 360° sull'Aids. Erano tempi quelli in cui si aveva una vera e propria fame di informazione. L'uomo che assistevamo rimase dipendente FIAT fino alla sua morte. E noi non riuscimmo a valorizzare quel contatto, mentre lei rimase Vice Presidente di AMFAR e contribuì alla lotta contro pregiudizio e ignoranza a quel livello.
Quando ho ricevuto la notizia della sua morte mi è tornato in mente il famoso detto talmudico "chi salva una vita salva il mondo", e nel suo piccolo questo è successo. Almeno nel caso che conosco.
E spero davvero che venga scritta una storia della beneficienza della famiglia Agnelli che sappia valorizzare proprio questo detto, senza i pregiudizi e la non conoscenza che ci ha caratterizzato. E magari, rispettando il silenzio che loro hanno sempre avuto, ci faccia riflettere su certi capitalisti, anche nostrani, così poco disponibili a usare il loro potere ed i loro soldi per gli altri senza interesse personale.



IN RICORDO DI MAURIZIO BELLOTTI



Grazie a Giovanni Dall'Orto ho saputo che il 13 febbraio scorso è morto Maurizio Bellotti. Pochi lo ricordano, anche nel movimento lgbti italiano, ma è stato una persona chiave per comprendere la storia del movimento in Italia. Dagli anni 50 era un collaboratore di Arcadie, la rivista gay francese che ci ha accompagnato (insieme a poche altre cose) negli anni 50 e 60 in Europa. Ed era il corrispondente in Italia di questa rivista. Soprattutto recensioni cinematografiche e librarie. Fu a Sanremo nel 1972 ma, al contrario di quanto oggi potrebbe essere pensato, era contrario alla manifestazione. E lo rimase sempre. Non che fosse contrario al nuovo movimento (superato questo ostacolo divenne collaboratore della rivista Fuori! credo dopo il 1978) ma come è popolarmente ricordato era campione di quell'omosessualità silenziosa, non esibita, che si accontentava di un passo dietro l'altro. Molto lombardo, direi, e chi sa di Enzo Moscato so di cosa parlo. Prima quindi di Mario Mieli e il COM. Sostanzialmente estraneo dalla cultura libertaria degli anni 70.
Fu anche funzionario comunale e se non ricordo male anche all'Umanitaria, un pezzo della cultura milanese recente.
Pur essendo stato sempre coerente con se stesso e con la propria cultura era molto generoso e curioso. E sempre disponibile per chi volesse intervistarlo sulla sua esperienza (mi vengono in mente Giovanni Dall'Orto e Andrea Pini per esempio). Circa un anno fa insieme ad Andrea Lohengrin Meroni siamo andati a casa sua e facemmo una lunga video intervista molto lunga. Ci eravamo ripromessi di tornare da lui per approfondire alcune cose (il suo rapporto con Arcadie, di cui proprio nel 2018 morì vicino Napoli il suo direttore Andre Baudry).
Quando si parla di storia lgbt (e in quest'anno ci si ricorda di un episodio importantissimo come Stonewall) si dovrebbe sempre ricordare (e studiare) la storia precedente, quel movimento sotterraneo e poco visibile, ma vivo, che tenne la fiamma accessa negli anni che vanno dalla distruzione del primo movimento lgbti (da parte dei Nazisti di qua e dei Comunisti di là, con modalità diverse ma convergenti) a Stonewall appunto. E spesso di dimentichiamo quanto fosse difficile in quegli anni essere una persona che pubblicamente non negava la sua omosessualità. Qualche fiammella di questa storia l'abbiamo avuta anche noi.