martedì 27 marzo 2007

DE PROFUNDIS SUI DICO

Ieri su La Stampa Lucia Annunziata recita il de Profundis sui DICO: il pezzo si intitola “Perché andrò al Family Day” e racconta le ragioni per cui è giusto, per la sinistra italiana, massimamente per quella che è erede della tradizione togliattiana, partecipare alla manifestazione citata.
In realtà anche prima del De profundis non c’era tanto da stare allegri, perché tutti i segnali andavano nella direzione opposta a quella di trovare in Parlamento una proposta di accordo tra le forze politiche su questa riforma: già si era capito che i partiti della sinistra estrema non avrebbero esercitato (e non lo eserciteranno) il loro diritto di veto sui DICO come è stato fatto sulla politica estera e sulla finanziaria, e ben sappiamo quanto la quota libertaria e riformista in questo parlamento sia minoritaria e timida. Oggi Annunziata ha avuto il pregio di spiegare come mai i DS, maggior partito di questa maggioranza, non possono permettersi di andare in rotta di collisione con la gerarchia cattolica.
La giornalista richiama nell’articolo tutta la tradizione, ed anche la retorica, comunista sulla famiglia, utilizzando argomenti che, dal mio punto di vista, si limitano a due cose realmente significative: una di contesto e una di prospettiva politica. Quella di contesto sta in questa frase: “la foga della battaglia con la Chiesa ha spostato i Dico su toni di estremismo omosessuale” e quella di prospettiva sta nelle ultime parole dell’articolo: “ … la legge sui Dico è diventata infatti infinitamente più rilevante di quello che è nella realtà del Paese per il suo significato simbolico. Ma ai fini del bene pubblico, non è forse più rilevante la possibilità di costruire intorno a un principio una identità condivisa, magari costruita nel tempo, ma decisamente più ampia? Recenti sondaggi sul calo di popolarità del governo sostengono che i Dico vi giocano un grande ruolo: non è questo forse un monito? “
Intendiamoci, credo che l’Annunziata non sbagli di molto nella sua analisi: in fondo dice solo che l’Italia non è ancora pronta per questo passaggio, e che forse è meglio rinviare e “far crescere la società” [il virgolettato è mio] su questi temi. Peccato che non ci si soffermi sulle cause di questa drammatizzazione, sul perché la Chiesa ha fatto del no alle unioni civili l’ultima spiaggia della battaglia per la salvaguardia della società cristiana su questa terra.
Quello che infastidisce è questo resuscitare la retorica comunista sulla famiglia, quando in realtà si voleva solo ripetere che “Parigi val bene una messa”. Questo insinuare che, in fondo, si tratta di “estremismo omosessuale” quando siamo di fronte alla richiesta di approvare una legge che definire riforma è quasi un azzardo.
Insomma, l’articolo di Annunziata da voce alla pancia di una parte della sinistra italiana che, in fondo, senza averne il coraggio, è stufa di sta storia dei DICO, non ne può più, non vede alcun motivo per tirare la corda ulteriormente e preferisce arrendersi all’evidenza della propria debolezza senza nemmeno avere il coraggio di andare fino in fondo.
Certo, i DICO, forse, avranno fatto perdere qualche decimo di punto di appeal a questo governo, ma sfido chiunque a dimostrare che la partecipazione dei DS e della Margherita alla manifestazione di Piazza San Giovanni riuscirà a recuperare questo gap.

Rimane il problema della posizione del movimento gay e lesbico italiano su questa vicenda. In particolare credo che non sia facile il compito del prossimo Congresso dell’ArciGay, messo come è tra l’incudine di una sinistra per cui la questione omosessuale sta diventando fastidiosa, e il martello di una gerarchia clericale che, giocando la carta del vittimismo, è riuscita ad imporre il suo punto di vista alla maggioranza di questo parlamento e, forse, se gli lasceremo altro spazio, anche alla maggioranza del paese.

Enzo Cucco
27 marzo 2007
http://gayindependent.blogspot.com/

lunedì 19 marzo 2007

GLI ITALIANI SON MEGLIO DELLA LORO CHIESA CATTOLICA?

MA E’ PROPRIO VERO CHE GLI ITALIANI SON MEGLIO DELLA LORO CLASSE POLITICA E DELLA GERARCHIA CATTOLICA?

L’indagine Demos Eurisko, riportata su Repubblica di oggi e commentata da Ilvo Diamanti, avrà certamente fatto stappare lo champagne in casa Ruini: dal 2003 ad oggi è cresciuta mediamente del 10% la percentuale di italiani che si è avvicinata maggiormente alle posizioni della gerarchia sulla supremazia della religione cattolica, sul riconoscimento delle unioni civili, sul rapporto tra religione e stato, sulla accettabilità dei rapporti omosessuali e sul giudizio sul dizorzio.
Chi osserva da vicino la chiesa cattolica e la sua comunicazione (almeno quella espressa dalla CEI) sa benissimo che tutto questo non è frutto del caso, ma è inserito in una forte strategia pluriennale che trova il suo avvio nella III Assemblea ecclesiale di Palermo (novembre 1995) e nella concretizzazione del “Progetto culturale orientato in senso cristiano” avviato nel 1997 dal Segretariato della CEI. Il "Progetto culturale" è il principale strumento di intervento nella società che la mente di Ruini ha partorito sulla scia della straordinaria rivoluzione comunicativa effettuata dal pontificato di Giovanni Paolo II. La chiesa ha capito che per contrastare la propria posizione marginale nel mainstream sociale e culturale dell’occidente si devono usare gli strumenti della comunicazione contemporanea in modo massiccio ed in tutte le loro potenzialità. Così è stato, ed ecco che arrivano i primi risultati.
Ci siamo consolati fino ad oggi con l’affermazione che gli italiani sono più progressisti della loro classe politica e cattolica su temi eticamente sensibili, e che la chiesa ha scatenato una battaglia senza quartiere proprio perché si sente minoranza, in Italia e nel mondo, incapace di influenzare elite e masse popolari su tutti i grandi temi sociali. Ci dimentichiamo, però, che le minoranze hanno una forza ed una vitalità che le maggioranze non hanno più, e che nella società della comunicazione globale non è affatto vero che non possono avvenire, in tempi anche veloci, cambiamenti sociali di un certo rilievo, in un senso o nell'altro.
Se poi paragoniamo gli sforzi di chi tenta una campagna a favore, per esempio, del riconoscimento delle unioni difatto alla forza, alla determinazione, alla lucidità ed alla spregiudicatezza (pensate per esempio alla vicenda del referendum sulla legge per la fecondazione assistita ed alla posizione della CEI) di chi riafferma i principi della morale tradizionale, vien quasi da ridere pensando alla assoluta disparità di mezzi in campo.
Se non è bastata la televisione generalista (si pensi solo all’influenza che le fiction televisive hanno avuto per rendere accettabile il comportamento omosessuale agli occhi della platea nazional popolare italiana) a cambiare per sempre il trend della nostra società c’è poco da stare allegri. Non è giunto il momento, quindi, di rivedere alla radice il nostro modo di programmare la campagna a favore della riforma del diritto di famiglia (di questo si parla se si chiede il riconoscimento delle unioni di fatto, anche se non lo si può dire…)? Voi pensate che il fronte di chi vuole i Dico sia all’altezza della sfida che è stata lanciata? Sia dal punto di vista dell’investimento su questo tema, che della consapevolezza delle ragioni delle proprie posizioni? Io dico che, ancora una volta, dobbiamo imparare molto da come la chiesa, pur con tutte le sue contraddizioni e forse senza speranza di vittoria, sta combattendo per affermare ciò in cui crede. A fronte di tanto impegno e di tanta autentica “fede”, io vedo solo un crescente imbarazzo nel difendere il riconoscimento delle unioni di fatto e la leggitimità, la naturalità del comportamento omosessuale. Spero di sbagliarmi.

Enzo Cucco
18 marzo 2007

venerdì 16 marzo 2007

DICO PARADOSSI

Spero che la manifestazione del 10 marzo scorso a Roma, ed il modo in cui la carta stampata l’ha rappresentata il giorno dopo, abbia definitivamente aperto gli occhi di tutti coloro che credono nella necessità di riconoscere diritti alle unioni di fatto. Intendiamoci, io ritengo che la manifestazione fosse necessaria e che abbia raggiunto almeno tre dei suoi obiettivi:
  1. sostenere quanti nel Governo e in Parlamento credono sinceramente nella necessità di questa riforma, e di questo c’era bisogno;
  2. ricreare unità di intenti tra le anime del movimento, cosa che ha dello straordinario, vista l’assoluta insufficienza della proposta di governo e la cronica, permanente litigiosità;
  3. riproporre al grande pubblico le ragioni della necessità di garantire pari opportunità per le coppie non sposate.

Ma in piazza abbiamo avuto i soliti noti, e la stampa del giorno dopo, chi più chi meno, ha dato ampio spazio ad una trasgressione che non c’era, rendendo eroi per un giorno Mastella e la gerarchia cattolica nell’inedito ruolo di vittime.

In altre parole: con la manifestazione non abbiamo fatto nessun reale passo in avanti, anzi abbiamo misurato una volta di più il limite della nostra azione che, per molte ragioni, non è riuscita ad andare oltre alla cerchia delle forze politiche su cui già sapevamo di poter contare.

Questo risultato non è ascrivibile alla volontà degli organizzatori della manifestazione: è stato giusto farla, e la si poteva fare solo così, ma dobbiamo guardare in faccia una realtà che certifica, senza ombra di ulteriore smentita, le scarsissime possibilità che il Parlamento approvi anche quel poco di diritti che la proposta di governo prevede. Possibilità che ulteriormente diminuiranno dopo la prossima manifestazione clerical-cattolica in favore della famiglia tradizionale, dove certo non mancheranno decine di migliaia di persone e politici di tutti gli schieramenti.

Che fare? Io son tra quelli che pensa che far politica significa costruire il possibile, non sognare l’impossibile, ed è questo il motivo per cui, pur essendo tra i sottoscrittori del manifesto per l’uguaglianza dei diritti ( www.matrimoniodirittogay.it ) e turandomi non poco il naso, penso che i DICO son il meglio che la realtà italiana consente oggi. Non sono tra quelli che pensano che si debba rifiutare anche solo questa possibilità, ne tra quelli (e francamente non ne vedo molti) che sperano nel prossimo Parlamento …

Il paradosso che non abbiamo voluto affrontare, già all’indomani del voto elettorale, è che in questa legislatura i nostri principali interlocutori avrebbero dovuto essere le forze del centro destra, o perlomeno coloro che in quello schieramento hanno manifestato posizioni più aperte sul riconoscimento die diritti delle unioni di fatto. Non era forse questa l’unica alternativa all’enorme potere di veto che un pugno di senatori del centro sinistra ligi al dettato della gerarchia cattolica possiede? Non era forse questa l’alternativa alla strategia (vincente, quanto vincente…!) della Margherita, che ha giocato come il gatto col topo, riducendo mese dopo mese valore e importanza della proposta di governo?

Il guaio è che i margini per lavorare nella direzione di coinvolgere parti del centro destra sono ormai risicati. I flebili appelli alla libertà di coscienza ed al dialogo che con timidezza alcuni esponenti del centro sinistra lanciano verso il centro destra rischiano di essere non la manifestazione di una strategia seria e trasparente ma solo il primo passo di una azione di sganciamento degli stessi partiti dalla proposta dei DICO. Un modo per tentare di scaricare la responsabilità del fallimento sul Parlamento e sulle forze politiche che lo compongono.

Il paradosso che ci troviamo di fronte oggi, invece, è che non abbiamo altri interlocutori che gli stessi che ci hanno seguito fino qui: è a loro che dobbiamo chiedere di operare seriamente in parlamento per creare il consenso necessario per approvare questa riforma. Ed operare seriamente significa crederci, mettersi in gioco, andare oltre ai limiti di maggioranza, fare veramente una azione di lobby parlamentare seria, trasversale, pronta al dialogo, e quindi alla mediazione. Recuperare l’errore fatto di aver voluto forzare la mano del Parlamento (dove già si sapeva che maggioranza non c’era) con una proposta governativa e ricominciare, praticamente da zero, con un accordo tra i partiti che siedono in parlamento.

So bene che questa è la strada più difficile: non vedo all’orizzonte nessuna “Vicenza” per le unioni civili, nessuna reale forzatura nella direzione di approvare i DICO che venga da quelle forze che fino ad oggi (RC, PDCI, VERDI) hanno ottenuto di più da questo governo.

L’unica cosa che non ci serve, oggi, sono i massimalisti, di destra e di sinistra, che pure allignano copiosi tra gli italici gay (forse un po’ meno tra le lesbiche e i trans). Quelli che invece di guardare la realtà italiana per quello che guardando la luna e non il dito, si rifugiano nelle solite polemiche contro fantomatiche egemonie e antidemocraticità dell’Arcigay, o se la ridono perche’ il governo delle sinistre non porta a casa nessun risultato concreto sul terreno dei diritti e della laicità.
C’è poco da ridere, molto poco.

Enzo Cucco
16/3/2007
http://gayindependent.blogspot.com/